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New York Academy

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VOTO: 6

Feel the music

Non c’è mai stata competizione. La metropoli dei sogni, con il suo variegato multiculturalismo, per le produzioni cinematografiche statunitensi resta sempre New York. Una Grande Mela che brulica di vitalità ed entusiasmo, gioventù e obiettivi da realizzare con quella determinazione di cui solo i giovani sono capaci. Stereotipi già visti centinaia di volte, senza dubbio. Ma con una certa accuratezza nella preparazione. Questo è New York Academy – il titolo italiano si concentra sull’essenzialità del plot, mentre quello originale, High Strung, pone più giustamente l’accento sulle fatiche per perseguire i propri scopi – favola contemporanea capace di sfuggire a tratti all’ovvietà del prodotto a denominazione controllata nel momento esatto nel quale getta la sua musica “a corpo morto” per le strade newyorchesi, nei suoi ambienti facilmente distinguibili, poiché entrati nell’immaginario collettivo, come alcune stazioni della metropolitana o certi spaccati di Manhattan. Per il resto il film diretto da tale Michael Damian non si discosta molto dagli abusati cliché che imperversano dal pur seminale Saranno famosi (1980) in poi: anche in questo caso si ricerca una certa coralità nel racconto, approfondendo le speranze di un gruppo di ragazzi ambosessi ovviamente in cerca di amore, gloria nonché mossi da un’incontenibile passione per la musica. Di buono c’è che New York Academy non si concentra esclusivamente sulla solita solfa della ragazza di provincia che sbarca in città con la valigia piena di utopie e che poi si ritrova a mangiare pane duro, ma prova ad allargare un po’ il campo.
Ruby è una piacente fanciulla che vede realizzato il sogno di iscriversi, attraverso una borsa di studio, ad una prestigiosa accademia di danza newyorchese. Johnnie è invece un ragazzo inglese in cerca della famigerata green card, emigrato a New York per dimenticare un passato spiacevole e voltare esistenzialmente pagina grazie al suo talento nel suonare il violino. Manco a dirlo le strade dei due s’incroceranno e, dopo molteplici disavventure, il lieto fine trionferà nella migliore (o peggiore, secondo i punti di vista…) tradizione delle pellicole da cui ci si aspetta precisamente un determinato epilogo. Se comunque si accettano le regole di un gioco tutt’altro che screziato di originalità, New York Academy può anche risultare accattivante e non troppo melenso come le premesse facevano temere. Fattore interessante è proprio l’ibridazione “trasversale” della musica, con contaminazioni tra classica e hip hop – i vicini di casa di Johnnie sono una banda di ballerini scatenati, con i quali alla fine egli formerà un connubio musicale esplosivo – e continui rilanci nel superare una visione eccessivamente tradizionalista del punto di vista musicale. Da segnalare in merito un duello a colpi di archetto (letterale) e note di violino che vede coinvolto l’anarchico Johnnie e il suo rivale in amore Kyle, classico alto-borghese portato in palmo di mano dall’establishment dell’accademia. Non manca, ovviamente, il classico e trascinante concorso finale che segnerà l’apoteosi dei buoni di spirito e la sconfitta dei cattivoni, ai quali comunque viene concessa la possibilità di trarre qualche buon insegnamento dalla sconfitta.
Perché in fondo, quando la posta in palio, come accade in New York Academy, è il coronamento dei sogni giovanilistici al fine di proiettarsi con minori ansie verso l’età adulta, siamo tutti pronti a chiudere un occhio se non due sulla prevedibilità dell’insieme per unirci festanti al peana dei vincitori. Dura poco, giusto il tempo di una visione tutt’altro che memorabile; eppure ci si reca al cinema anche per provare questo tipo di sensazioni, talvolta.

Daniele De Angelis

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