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Né Giulietta né Romeo

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VOTO: 5.5

Il sesso dell’angioletto

Un esordio alla regia non si nega a nessuno. Ieri, oggi e domani, se sei un volto conosciuto. Il cinema battente bandiera tricolore, in questo caso, è massima espressione di (molto parziale) democrazia. Stavolta è il turno di Veronica Pivetti saltare il fosso e passare dall’altro lato della macchina da presa, pur rimanendo anche davanti. Una e trina, insomma. Se alla sorella dell’ex Presidente della Camera Irene è riuscito il “miracolo” di moltiplicare se stessa, l’altro miracolo – quello assai più complesso – di realizzare un lungometraggio provvisto di coerenza e senso compiuto è rimasto solo sulla carta, senza concretizzarsi in un film apprezzabile.
Con il massimo della sincerità riconosciamo volentieri che le intenzioni di partenze di Né Giulietta né Romeo, titolo già significativo, sarebbero state anche buone. Fare un film incentrato sulle delicate pulsioni sessuali in età adolescenziale non è affatto un progetto trascurabile, a maggior ragione negli italici territori ancora colmi di preconcetti e tabù assortiti. Ci sarebbe stato però bisogno di qualcosa di diverso della solita sfilata di stereotipi che caratterizza da decenni la commedia nostrana, eternamente prigioniera delle figurine para-televisive che essa stessa ha mutuato dal piccolo schermo. Ecco allora materializzarsi il ritratto di una famiglia alto-borghese di apparente apertura mentale – in altri tempi la si sarebbe definita radical-chic, ma ora il termine è ampiamente passato di moda – con mamma giornalista tuttologa (la stessa Pivetti) e papà psicoterapeuta di fama con un debole sin troppo pronunciato per il gentil sesso. La coppia, come da cliché, è da tempo separata. Aggiungiamo poi una nonna da parte di mamma del tutto ancorata agli antichi valori di un’Italia ormai quasi scomparsa (leggi fascista) ed il quadro è completo. Anzi no, poiché manca il protagonista, il figliolo Rocco, liceale ancora incerto sul proprio orientamento sessuale. Prova a far sesso con la ruspante e inseparabile coetanea Maria, ma fa ripetutamente cilecca. Arriva un nuovo studente a scuola, prontamente etichettato dai soliti bulli come checca, è l’attrazione non tarda a farsi sentire. Finché non capita un incidente – parentesi drammatica del tutto stonata, nell’ambito del film – che porta Rocco alla confessione del proprio status alla genitrice. La quale, alla faccia del progressismo di superficie, non prende la cosa per nulla serenamente. Esattamente come il papà. Da qui in poi la sceneggiatura – firmata da Giovanna Gra – ricorre alle trovate più ovvie per aggiungere minutaggio al film, disperdendo alle ortiche pure quel poco di simpatia sin lì guadagnata.
Se Né Giulietta né Romeo voleva essere una satira sull’atteggiamento tipicamente italiota, liberista solo quando la faccenda non tocca in prima persona, ebbene manca completamente del pur minimo tasso di cattiveria; se invece ambiva a propugnare – meritoriamente – un messaggio di libertà nel vivere la propria sessualità senza dover rendere conto a nessun altro, la storia e la sua messa in scena risultano troppo poco spontanee per somministrare persino una dose omeopatica di empatia tra gli spettatori, nei confronti dei vari personaggi. Tutti distanti, se va bene; oppure antipatici, se va male. E non si sa se sorridere o inquietarsi al pensiero che il personaggio più comprensivo nei confronti della omosessualità del nipote risulta alla fine proprio la nonna “destrorsa”. Un invito a lasciarsi il passato (politico) del paese alle spalle, veicolando un ecumenico “panta rei”, oppure un omaggio alle idee politiche dell’illustre sorella da parte di Veronica Pivetti? Scherziamo, ovviamente. Anche perché, al tirar delle somme, sono domande retoriche poste a proposito di un’operina capace di produrre solo risposte estremamente rassicuranti. Tanto da far quasi tenerezza, nonostante le buone intenzioni anti-omofobe di cui sopra. Ma nel caso specifico risulta purtroppo impresa assai ardua accontentarsi solo di quelle…

Daniele De Angelis

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