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Natale all’improvviso

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VOTO: 4

Classica commedia americana che di improvviso ha ben poco

Natale all’improvviso non è certo il titolo più adatto per una commedia che ruota interamente attorno a questo giorno che sembra non arrivare mai, in vista del quale tutto deve essere perfettamente al suo posto, senza lasciar spazio a imprevisti, incomprensioni o piccoli fallimenti personali; in poche parole tutto ciò che di umano rientra nelle nostre vite. Perché nel Natale all’americana non c’è posto per i loser, ma solo per quelli che vincono; laddove quelli che vincono sono le coppie che non si separano mai; le figlie che a trent’anni hanno trovato l’uomo della vita; gli uomini di mezza età al culmine della propria carriera; le donne che alla soglia dei cinquant’anni hanno tirato su almeno un paio di pargoli. Tutto ciò che esce da questo seminato rientra nella categoria dei loser, e allora la famiglia Cooper ha ben poco di vincente da vantare, poiché le vite di ogni componente stanno lentamente andando a rotoli e l’ansia di doverlo dichiarare proprio nel giorno in cui tutti devono essere felici, per non dire euforici, spinge ognuno a fare il possibile per mascherare la propria “magagna”.
Questo, a grandi linee, il plot di una commedia che presenta uno spunto in sé interessante, poiché viene finalmente messo in discussione il “sacro cardine” della felicità a tutti i costi, governata da un’ipocrisia che annulla l’umanità dei rapporti. Uno spunto che, tuttavia, si perde man mano che la commedia scorre, fino a scomparire del tutto di fronte a una crisi che in qualche modo rientra. E il Natale si rivela, comunque, felice, non tanto perché si è avuto il coraggio di affrontare insieme i problemi e giungere a un nuovo equilibrio fatto anche di separazioni, ma perché queste crisi  evaporano nel nulla e, sarà la magia del Natale, si risolvono da sé.
Un racconto fatto di tanti piccoli racconti tra cui si fatica a mantenere il filo conduttore; personaggi talora nati e morti all’interno del loro singolo episodio, senza aver trovato una collocazione precisa nella storia. Una Diane Keaton e un John Goodman assai sprecati per una commedia di così bassa lega, popolata da numerosi altri attori di fama internazionale, ma non dello stesso calibro e, anzi, in alcuni casi piuttosto scadenti nella loro interpretazione, ma forse proprio per questo più adatti alla pellicola: Olivia Wilde e Ed Helms risultano decisamente poco credibili nella parte della giovane ribelle dell’era post-sessantottina e del soldato conservatore e tradizionalista. I primi piani sugli splendidi sorrisi della Wilde sono probabilmente finalizzati a distoglierci da questa mancanza.
Una commedia che più americana non si poteva immaginare, dove presente e passato si intrecciano continuamente per spiegare, e in qualche modo giustificare, lo status quo, senza, tuttavia, giungere mai a una conclusione, se non che il Natale è il momento in cui si sta insieme e si deve – e sottolineo deve – essere felici.
Ma questo, probabilmente, lo sapevamo già.

Costanza Ognibeni

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