Last Time Forever
Mothering Sunday (o Mother’s Day) è la quarta domenica di Quaresima, giorno in cui in Inghilterra si onora la propria madre. Le famiglie aristocratiche londinesi, per permettere alla propria servitù di poter andare a far visita alla loro madre, gli concedevano mezza giornata libera. È proprio questo singolo giorno celebrativo, con data 30 marzo 1924, il centro su cui ruota tutta la vicenda e la vita futura dell’orfana Jane Fairchild, a quel tempo semplice domestica e ormai pluripremiata scrittrice. Jane a distanza di decenni rievoca – ancora – mentalmente e in modo frammentario quella domenica tanto felice quanto successivamente tragica. Lontane memorie, ma per lei ancora vivide, a cui si aggiunge un altro squarcio di vita accaduto successivamente a quella domenica, ma che ricalca beffardamente quella fatidica data. Passioni amorose e tragicità che Mothering Sunday (2021) di Eva Husson (titolo per l’uscita italiana Secret Love), già presentato all’ultimo Festival di Cannes e adesso riproposto alla Festa del Cinema di Roma 2021, cerca di rendere prepotentemente e minuziosamente in immagini.
Tratto dall’omonimo romanzo di Graham Swift, edito in Italia come “Un giorno di festa” (Pozza editore, 2016), Mothering Sunday, adattato in fase di sceneggiatura da Alice Birch (suo lo script di Lady Macbeth), è una preziosa illustrazione del libro di Swift. Infatti, l’aspetto che prevale in questa trasposizione, prima dello script, è l’eleganza della messa in scena, che potrebbe anche essere tacciata di accademismo. Gli anni Venti e i sobborghi inglesi, oltre alle residenze aristocratiche, sono precisamente ricreati, come già faceva con accuratezza James Ivory nelle sue pellicole di ambientazione vittoriana. Una raffinatezza visiva anche per merito dell’usuale ottimo apporto della costumista Sandy Powell e della sorprendente fotografia curata da Jamie Ramsay, precedentemente direttore di pellicole molto inferiori. Quello che funziona meno perfettamente è la sceneggiatura. Recuperando il flusso di coscienza vergato su carta da Swift, che serve per intensificare i singoli momenti, seppur minimi, di quell’indimenticabile giornata, la frammentarietà memoriale verso il finale si fa ridondante, soprattutto con la seconda tranche de vie amorosa di Jane, ovvero la sua relazione con Donald (ragazzo di colore). Il flusso di coscienza non comincia dal classico lungo flashback, ovvero quando lei è ormai anziana (interpretata da Glenda Jackson), ma scaturisce da tre punti temporali, che scandiscono come per la protagonista quella domenica sia stata indimenticabile. Ma Mothering Sunday, benché sia un melodramma passionale, di amore e morte, rappresenta anche una funzionale disamina di quell’epoca. Quando Donald dice a Jane che lei è una capace scrittrice perché, come domestica, ha osservato con distacco le persone (principalmente aristocratiche), ha perfettamente ragione, perché quel lussuoso mondo, con i propri codici e le proprie ipocrisie, lo vediamo filtrato attraverso i suoi occhi. Mentre la seconda vicenda, ambientata in un’epoca imprecisata (probabilmente gli anni Cinquanta) non ha intenzioni di descrizioni sociali esterne, ma è soltanto una focalizzazione sulla vita privata di Jane e del suo cruccio interno. Mothering Sunday, imperfetto nel meccanismo, principalmente la storia tra Jane e Donald, ha comunque anche un cast perfettamente in parte, su cui spicca Colin Firth, compassato padrone dai modi gentili.
Roberto Baldassarre