Herman Yau sulla Transiberiana
Proprio nell’edizione del Far East Film Festival in cui un Maestro del cinema mondiale come Zhang Yimou è giustamente salito in cattedra, un altro cineasta di lingua cinese è riuscito in più di un’occasione a stupire il pubblico friulano: Herman Yau, veterano e frequentatore dei più svariati generi che dalla sua Hong Kong è passato a dominare, nella Cina continentale, set ben più dispendiosi, impegnativi, con miriadi di comparse e soluzioni pirotecniche da sperimentare sul versante action. Abbiamo detto sbrigativamente Cina ma c’è anche la santa madre Russia sullo sfondo, nell’adrenalinico Moscow Mission. Pare infatti che l’asse Pechino-Mosca cinematograficamente (e forse anche in campo geopolitico, permetteteci un tono complice e allusivo) stia funzionando magnificamente, di questi tempi: lo dimostra un altro film-crocevia di culture visto a Udine, il sorprendente Wonder Family di Song Yang .
Tornando all’Herman Yau “mattatore” del festival, ben tre titoli lo hanno rappresentato a Udine: oltre a quello su cui stiamo ora soffermando anche Customs Frontline, l’unico realizzato in un contesto hongkonghese, più l’iperbolico ed esagerato Raid on the Lethal Zone, sorta di poliziesco con assai cruenti scontri tra forze dell’ordine e trafficanti di droga armati fino ai denti, traslitterato però in una cornice da disaster movie.
Ecco, se in realtà del cinema prodotto nella Cina continentale Raid on the Lethal Zone pare replicare anche una certa retorica, le soluzioni di sceneggiatura un po’ tronfie e patriottarde, compreso lo spirito di sacrificio degli uomini in divisa spinto nella circostanza oltre ogni limite, in Moscow Mission il nostro Herman Yau s’è mosso a tutti i livelli con ben altra libertà, mescolando le diverse tracce di genere con un piglio esplosivo.
L’ispirazione è arrivata qui da rocamboleschi fatti di cronaca: le spregiudicate rapine avvenute nel 1993 sulla Transiberiana, nel tratto mongolo, che erano state già portate sporadicamente sul grande schermo da produzioni cinesi. Herman Yau, spaziando tra coloriture hitchcockiane nella presentazione dei personaggi in treno e sequenze spettacolari, degne volendo di Mission Impossible, si è divertito a cesellare in terra russa un’adrenalinica crime story, che riesce felicemente a coniugare le particolari suggestioni ambientali e la presenza di uno star system orientale d’eccezione, tra cui l’onnipresente Andy Lau. Più in particolare sono le scene d’azione e i violenti intrighi malavitosi nella capitale, a Mosca (compresa la cruda eliminazione di un melomane locale, colpevole solo d’aver rimproverato l’arrogante mafioso cinese che faceva confusione durante un evento di musica classica), ad aver ampiamente contribuito a costruire quell’atmosfera tesa, a tratti incandescente, che con dispiego di mezzi enormemente maggiore c’ha ricordato un po’ i rocamboleschi inseguimenti moscoviti e i quasi surreali scontri a fuoco di Brat 2, uno dei capolavori noir del compianto cineasta russo Alexej Balabanov.
Stefano Coccia