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Morrison

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VOTO: 5

Dove tutto è anche troppo a metà

Lasciatosi alle spalle (solo per il momento?) il genere thriller-horror, con questo quarto lungometraggio Federico Zampaglione affronta cinematograficamente il mondo della musica. Questo è un universo che l’autore romano conosce benissimo, per averlo vissuto e averlo suonato, principalmente con il gruppo Tiromancino, che dal 1989 continua a restare una band di riferimento della scena musicale italiana. Morrison (2021) è il libero adattamento del romanzo “Dove tutto è a metà” (2017), che era stato il suo esordio editoriale scritto assieme a Giacomo Gensini, che era stato co-sceneggiatore di Shadow (2009) e Tulpa – Perdizioni mortali (2012). I quasi dieci anni di silenzio registico sono stati dettati soprattutto dal cocente insuccesso, di critica e di pubblico, della precedente pellicola, e questo largo lasso di tempo Zampaglione lo ha colmato con la pubblicazione di due album con i Tiromancino, qualche collaborazione come autore di testi per altri artisti, la direzione di 2 videoclip (uno è I nani, del 2015, per la canzone di Richard Benson) e giustappunto il primo romanzo (che ha figliato anche la canzone omonima)

Il libro era stato accolto abbastanza favorevolmente, non tanto per la trama, che accorpa situazioni già (stra)lette in altri romanzi, ma per la scrittura scorrevole e la struttura data alla composizione dei capitoli. Zampaglione poteva fermarsi anche là, perché il suo punto di vista su come la musica sia una passione che può avvolgerti e stravolgerti l’aveva spiegato bene, ma ha voluto, sempre assieme a Gensini, trasformarlo anche in immagini cinematografiche. È come se quel romanzo fosse stato solamente un testo e con la pellicola Zampaglione avesse voluto “musicare” in immagini quelle parole scritte. Il lavoro svolto dai due per la trasposizione è stato principalmente quello di snellire la trama (304 pagine in totale), e poi apportare delle modifiche (ad esempio nel libro la band si chiama Bangers e nel film Mob). Rimane, comunque, il punto basilare della storia su cui poi ruotano tutte le altre (troppe) vicende: il confronto/scontro, musicale e umano, tra due generazioni. Se da un lato c’è la crescita del giovane Lodo, e che quindi va a crear il classico – e in questo caso usurato – “romanzo di formazione”, dall’altro c’è la caduta (e rinascita) del vecchio Libero Ferri. Lodo potrebbe essere un alter-ego di Zampaglione giovane, mentre Ferri un miscuglio di cantautori una volta famosi che ormai vivono sugli allori di un passato successo. Detto questo, Morrison film aggiunge al “Morrison” libro solamente l’aspetto visivo, inanellando scene troppo ad effetto, come se un taglio d’inquadratura o di luce potessero rendere migliore la storia (inqualificabile il controluce di Ferri nudo al piano mentre suona). Zampaglione avrebbe anche una buona idea di cinema (frutto della cinefilia), ma registicamente strafa, soprattutto se affronta una storia che deve rappresentare il reale. Senza contare che in 90 minuti sono concentrati (desunti dal libro) troppi avvenimenti trattati superficialmente: conflitti generazionali, primi amori, tragedie familiari e amicizie indissolubili. Unico aspetto bello è come si apre la pellicola, con un virtuosismo della macchina da presa che dall’alto di un ponte di Roma plana fino al barcone che ospita il locale (che da il nome al film), per poi entrarci dentro. Un lungo e funzionale piano sequenza simile a un bel assolo musicale ben incastonato in una canzone, che purtroppo poi si rivela un componimento velleitario.

Roberto Baldassarre

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