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Monster

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VOTO: 8

Dopo le tante tempeste

In concorso a Cannes torna Hirokazu Koreeda, che si aggiudicò la Palma d’Oro nel 2018 con Un affare di famiglia (Shoplifters). Presenta un film, Monster, che segna il suo ritorno in patria, dopo la trasferta sudcoreana di Broker, e il ritorno alla sua autentica giapponesità, sviluppando le sue tematiche, i traumi della vita, la perdita di un congiunto, che costellano tutta la sua filmografia, nel contesto naturale della cultura nipponica. Per la prima volta il cineasta si affida a uno sceneggiatore quale Yuji Sakamoto, molto attivo nelle serie, il quale fa un lavoro molto rispettoso sull’opera del regista, la sviluppa, la rimescola, la sistematizza. Usando la struttura pirandellianana, alla Rashomon, che già comincia a comparire nell’opera di Koreeda in Il terzo omicidio, le sue tematiche costanti vengono come serializzate, moltiplicate, rese ridondanti, simmetriche, portate al pettine. Tanti elementi narrativi ritornano, a partire dal concetto stesso di mostro, che così viene relativizzato.
La storia comincia con un ragazzino, Minato, che sembra soffrire di problemi comportamentali. Vive da solo con la madre vedova, in una delle tante famiglie tronche che costellano il cinema di Koreeda. Li vediamo pregare sull’altare domestico, del padre/marito, ritratto in una foto giovane, segno di una vita spezzata, in una scena chiave su cui torneremo. Ancora una volta i personaggi di Koreeda sono portatori di un trauma, vivono nell’elaborazione di un lutto. La condizione di aver perso un congiunto nel film è comune a molti personaggi, tra i quali anche la direttrice didattica della scuola frequentata da Minato. Emerge che il giovane Minato sia stato bullizzato a scuola, e di ciò viene accusato uno dei suoi insegnanti, il signor Hori. Su questo si gioca il relativismo della verità rashomoniano di cui sopra. Se questo prendeva piede, ancora abbozzato, in Il terzo omicidio, qui sembra riguardare un qualcosa di meno grave, legato alla crescita, dell’omicidio, eppure sappiamo che bullismo nonché altre forme di disagio giovanile, rappresentano una piaga sociale davvero devastante nel paese del sol levante. I traumi, le tempeste, metaforiche nel film rappresentano un elemento ripetuto, a partire dal grande incendio che si vede all’inizio, e che ritornerà, fino al solito tifone.
Con l’ausilio di uno sceneggiatore nuovo, emerge tutto lo spirito tradizionalista di Koreeda, solo abbozzato in altri film. Tradizionale, nella cultura arcaica del paese come nel suo cinema, è anche l’importanza agli elementi naturali, come la pioggia battente o i ciliegi in fiore. Koreeda usa queste immagini come equivalente alla punteggiatura per iniziare ogni nuovo capitolo, ogni nuova variante alla realtà. In Ritratto di famiglia con tempesta, la nonna esorta il figlio a fare il bagno insieme al nipotino, come nella autentica tradizione nipponica che non concepisce pudori sessuali in famiglia, come del resto si vede anche in Il mio vicino Totoro. Una pratica che appartiene alla cultura famigliare di una volta, ormai perduta, a dimostrazione di ciò il fatto che ora Minato non lasci entrare la madre in bagno perché si è spogliato. Quando lui, con la madre fa gli auguri di compleanno al padre defunto, davanti alla sua foto sull’altare domestico, lo fa in inglese (“Happy birthday”), mentre tutto il discorso a seguire sulla reincarnazione, che potrebbe avvenire in un animale diverso, come una giraffa, mostra la totale estraneità delle giovani generazioni rispetto a quel concetto buddhista. Solo il buddhismo tibetano, infatti, teorizza la trasmigrazione di anime in animali diversi, ma quelli cinese e giapponese, prevedono che avvenga solo tra essere umani. La reincarnazione però diventa un sottotesto chiave nella parte finale del film, nella parabola dei due ragazzini con la loro base nel bosco, un tram abbandonato, nel loro gioco di esplorazione del mondo, che contempla anche l’universo in espansione (un po’ come Woody Allen bambino in Io & Annie) di esperienza di vita che prevede anche conoscere la morte, che fa capolino in tutta la storia del gatto morto. La permutazione delle anime equivale così agli scambi di neonati in culla, che pure hanno una tradizione nel cinema di Koreeda. E la lunga parabola narrativa del film arriva fino alla loro rinascita. E rinasce anche Ryūichi Sakamoto nelle musiche straordinarie, alcune elegiache, altre come un Dies Irae, che ha composto per il film prima della sua dipartita.

Giampiero Raganelli

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