Una commedia dai toni gialli dove si ride poco
E’ l’estate del 1970. Tra le lussuose ed esclusive ville di Saint Tropez qualcuno sta cercando di uccidere la baronessa Éliane Tranchant (Virginie Hocq). Le vengono manomessi i freni della sua vettura sportiva, ma solo per puro caso alla guida si mette l’amico di famiglia Jacquot (Nicolas Briançon). E’ lui dunque ad avere inevitabilmente l’incidente (per fortuna non mortale) che spinge il barone Claude Tranchant (Benoît Poelvoorde) a cercare l’aiuto della polizia per proteggere la moglie. Il nobiluomo ha amicizie altolocate, tanto che un giovane ministro Chirac contatta il capo della polizia Maurice Lefranc (Gérard Depardieu) per richiedere un’indagine discreta ma rapida e incisiva. Purtroppo, visto il periodo vacanziero, l’unico investigatore attualmente disponibile è il pessimo commissario Jean Boulin (l’esuberante Christian Clavier). I suoi trascorsi sono rovinosi, dunque non gli viene lasciata libertà e, al contrario, gli viene imposto di infiltrarsi nella ciarliera compagnia dei baroni in veste di maggiordomo. Sotto copertura, il suo compito è scoprire chi, fra gli assurdi ospiti della villa, è colui che desidera la morte dell’aristocratica e perché.
Naturalmente, tutto quello che potrà andare storto, ci andrà.
Le premesse per una commedia leggera e spassosa, nel film di Nicolas Benamou dal titolo Mistero a Sant-Tropez,, ci sono: dei ricchi sciocchi e viziati, un misterioso attentatore in libertà, immancabili tradimenti coniugali, l’atmosfera un po’ nostalgica a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 e, ovviamente, un poliziotto maldestro e poco sveglio. La sceneggiatura, dello stesso Clavier affiancato da Jean-François Halin e Jean-Marie Poiré, affonda però rapidamente in un mare di banalità e in un eccessivo taglio caricaturale, sbandando a tratti in qualche volgarità eccessiva. Il primo elemento interessante che si dissolve è proprio quello “giallistico”, dal momento che nessuno dei sospettati viene mai realmente tirato in ballo. Il vasto numero di personaggi è in effetti un autentico spreco, considerato che durante la storia, in realtà, non avviene alcuna indagine. C’è il produttore burbero in compagnia dell’attricetta oca, lo sceneggiatore omosessuale e isterico, un’altra attrice veterana ma svampita con il suo toyboy, poi l’antipatico ex marito della baronessa e via via un cuoco nevrotico dall’inspiegabile voce in falsetto, un affascinante scultore tutto muscoli e un’ennesima attrice giovane e giuliva nell’eterna attesa di Alain Delon. Infine lo sfortunato Jacquot e la sua gelosa moglie, gli unici ad avere qualcosa in più da dire nell’ora e quaranta di pellicola. Tale ampio cast, infatti, non fa altro che essere continuamente inquadrato mentre prende pigramente il sole a bordo piscina, fuma senza sosta o quando, mentre mangia, viene disturbato dagli impiastri del commissario Boulin, disastroso cameriere che si dimostra così idiota da risultare più irritante che divertente. Come detto, non c’è nessuna fase investigativa, nemmeno quella superficiale che ci si può attendere in un film farsesco come questo: il caso si risolve praticamente da sé, in modo del tutto casuale, in seguito a una serie di gag non molto credibili e più simili a quelle di un cartone animato.
Sia chiaro, qualche episodio azzeccato, per forza di cose, si trova: in almeno due o tre occasioni si ride. Ma è un po’ poco. Negli anni ‘80, con premesse e atmosfera simili, fece meglio Dino Risi con il suo Il commissario Lo Gatto, grazie anche al protagonista di allora, Lino Banfi. Qui, del palese tentativo di rispolverare i fasti della Pantera rosa, dove il Clouseau di Peter Sellers rimane di un’altra classe, resta lo sperpero dei bravi interpreti, una fotografia luminosa e una scenografia colorata e accattivante. E il piacere di ammirare le numerose, bellissime auto d’epoca utilizzate per le riprese.
Durante i titoli di coda, nel vedere tutti ballare, si intuisce come probabilmente gli attori si siano divertiti parecchio a girare, peccato che gli spettatori non possano però partecipare alla festa.
Massimo Brigandì