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Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali

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VOTO: 5

Bambini fantastici e dove trovarli

Nonostante nelle pagine dei romanzi che vanno a comporre la trilogia di “Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali” vi fossero ingredienti a lui familiari, che ben si sposano con il suo modo personale e riconoscibilissimo di fare cinema e raccontare storie, ciò che Tim Burton ha portato sul grande schermo nella pellicola omonima é lontano anni luce dagli standard e dalle moltissime perle che ci ha regalato in tutti questi anni di onorata carriera, sin dagli esordi sulla breve distanza nei primi anni Settanta con The Island of Doctor Agor e Houdini.
Il corpus letterario in tre volumi di Ransom Riggs, edito in Italia da Rizzoli, ha nel proprio DNA ingredienti che è facile rintracciare nel cinema timburtoniano, a cominciare dalle atmosfere da favola nera per finire con la commistione senza soluzione di continuità di generi come fantascienza, avventura e dramma, nella quale trovano spazio anche venature orrorifiche, per cui un incontro tra le due parti, con  conseguente trasposizione per il grande schermo, non era altro che una questione di giorni e di dettagli produttivi. Quel giorno è arrivato e il Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali firmato dal cineasta statunitense è approdato nelle sale americane, ma con un carico di recensioni non particolarmente positive al seguito. Abbiamo sperato fino alla fine che non rispondessero a verità, che i giudizi negativi  sull’ultima fatica dietro la macchina da presa provenienti da oltreocenao fossero solo chiacchiere da bar o voci di corridoio, ma non è stato così. Ora che la nuova pellicola di Burton ha raggiunto gli schermi nostrani grazie alla 20th Century Fox (dal 15 dicembre), non prima di una fugace apparizione nel Fuori concorso della 26esima edizione del Noir in Festival, anche noi possiamo esprimere un giudizio in merito, che come quello di tanti altri colleghi non è per nulla favorevole.
La visione della pellicola ci ha confermato quanto di negativo ci era giunto alle orecchie da oltreoceano, dove già dallo scorso settembre circolavano giudizi contrastanti: collider.com ad esempio lo ha definito “una forma di intrattenimento usa e getta“, The Hollywood Reporter ha aggiunto che “il film funziona per la prima ora, lasciando poi spazio al cinema commerciale e contemporaneo, pieno di effetti speciali e CGI che mette da parte la narrazione“, mentre Variety invece ne ha lodato la sceneggiatura di Goldman. Con tutto il rispetto per la più quotata tra le riviste di settore, ci sentiamo di dissentire proprio sul parere positivo espresso nei confronti dello script, che per quanto ci riguarda rappresenta uno dei talloni d’Achille del progetto. Al contrario, sposiamo in pieno quanto pubblicato dai redattori di collider.com e The Hollywood Reporter, che hanno sintetizzato alla perfezione i non pochi punti deboli presenti nella scrittura, quanto nella sua trasposizione. Da parte sua Goldman ce l’ha messa tutta per salvare il salvabile e consegnare nelle mani di Burton una drammaturgia sulla quale potere lavorare nel migliore dei modi, ma le pagine dei romanzi di Riggs non hanno mai avuto una forza tale da riuscire a supportare e sopportare il peso e il confronto con la Settima Arte e la sua fruizione. La sua casa ideale è senza alcun dubbio la carta e il suo pubblico quello dei lettori, nella fattispecie quelli senza particolari pretese. Ma il colpevole non è tanto l’autore, quanto il cineasta statunitense che, attirato dall’esistenza nella saga di ingredienti a lui congeniali (la veste da favola dark e la presenza del cosiddetto dysfunctional kid), è caduto ingenuamente nella trappola. Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali è in assoluto il film meno riuscito tra quelli che portano il suo inconfondibile marchio di fabbrica. L’avere tentato di plasmarlo con pennellate stilistiche personali non è servito  a bypassare e a rilanciare storia e personaggi, tantomeno a tramutarlo in una sua “creatura” come accaduto con Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, Alice in Wonderland, Dark Shadows e la sua versione de La fabbrica di cioccolato.
Come avrete capito non siamo mai stati degli estimatori della trilogia letteraria dello scrittore del Maryland, di conseguenza solo un miracolo cinematografico di Burton avrebbe potuto farci digerire un suo adattamento, ma così non è stato. La visione della pellicola non ha fatto altro che ribadire, amplificandoli, i limiti e le debolezze della matrice originale: basso livello di coinvolgimento, confusione nel racconto, personaggi scarsamente delineati e soprattutto scarsa originalità. La saga letteraria di Riggs si riduce a un collage di situazioni e figure, eventi e one line, con il quale abbiamo già fatto i conti innumerevoli volte quando si è trattato di romanzi di genere fantasy per ragazzi, diventati nel corso degli anni prodotti per il grande schermo. Da questi, lo scrittore americano ha attinto a piene mani, per poi cucirne insieme i pezzi e dare origine a un racconto che ha il gusto inconfondibile di un minestrone riscaldato. Forse per questo motivo durante la visione non fanno altro che riaffiorare rimandi e analogie con i vari La bussola d’oro (dall’omonimo romanzo di Philip Pullman, primo volume della trilogia “Queste oscure materie”), Un ponte per Terabithia (dall’omonimo romanzo del 1976 di Katherine Paterson, già portato in TV nel 1985), con i capitoli cinematografici de Le cronache di Narnia (dagli scritti di scritti da C. S. Lewis), Ember – Il mistero della città di luce (tratto dal romanzo per ragazzi “La città di Ember” della scrittrice Jeanne DuPrau) e andando più in là nel tempo con La storia infinita.  E come se non bastasse la mente va per forza di cose anche a personaggi dei fumetti, diventati in seguito cinecomics, a cominciare da X-Men. Moltissimi dei ragazzi speciali che abitano nella casa di Miss Peregrine, infatti, hanno poteri e talenti identici a quelli che vivono nella scuola-rifugio gestita dal Professor Xavier. In tal senso, basta leggere la sinossi per iniziare ad avvertire i primi deja vu, di quelli che risuonano nella mente dello spettatore come veri e propri campanelli d’allarme. Protagonista della storia è l’adolescente Jacob Portman, che in seguito alla tragica morte del nonno, si reca in una piccola isola del Galles alla ricerca di un gruppo di bambini orfani dal talento speciale, che vivono presso la residenza della misteriosa Miss Peregrine, di cui il nonno gli ha molto raccontato durante la sua infanzia. Il ragazzo farà di tutto per proteggere i bambini e tenerli al sicuro da orribili creature decise a distruggerli.
Insomma, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali ci ha lasciato davvero l’amaro in bocca e anche un profondo dispiacere, quello di assistere a un progetto che Burton avrebbe dovuto evitare, a maggior ragione perché realizzato a poca distanza da un altro parziale scivolone come Big Eyes. Non parliamo di confezione, anche perché la qualità della regia e della CGI non sono in discussione. Ciò che non funziona è alla base, nella scrittura di un film che narrativamente e drammaturgicamente scricchiola sempre di più mano a mano che progredisce. Burton fa il suo, ma il risultato non riesce ad andare oltre l’intrattenimento a buon mercato, dove è il ritmo e l’azione della seconda ora di timeline a mantenere il tutto a galla. Non ci resta che attendere i futuri progetti del cineasta americano, a cominciare dall’attesissimo sequel di Beetlejuice, sperando di rivederlo ai massimi livelli. Magari un ritorno alle origini può risvegliarlo dal letargo e dare un nuovo slancio al suo cinema. Incrociamo le dita.

Francesco Del Grosso

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