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Michel Piccoli, il cinema e la vita

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Michel Le Roi

La longevità della carriera di un attore può essere un segno, ma non un fattore decisivo a determinarne la grandezza. Michel Piccoli, scomparso qualche giorno orsono a novantaquattro anni di età, ci lascia con una filmografia sterminata. La quale non dice, a livello numerico, tutto. Solo analizzandola a fondo si comprende quanto Piccoli sia stato una perfetta cartina tornasole della grandezza di un autore: paradossalmente ma non troppo, averlo in un proprio film ha costituito una sorta di laurea ad honorem per chi lo dirigeva. Un discorso da ritenere valido anche per autori di enorme rilevanza come Jean-Luc Godard, Luis Buñuel, Manoel De Oliveira, Marco Ferreri, Jacques Rivette ed altri, non ultimo anche Nanni Moretti, il cui Habemus Papam (2011) trova proprio nell’interpretazione di Piccoli la propria chiave di lettura più evidente. Quella della modestia e del mettersi in discussione, elemento che ancora oggi dovrebbe essere oggetto di discussione per gran parte della classe politica contemporanea, sia italiana che internazionale.
Eppure l’enorme talento non sarebbe ancora sufficiente a spiegare in che modo un eccellente attore è divenuto un monumento della Storia del Cinema. Risulta ancora assente quel piccolo dettaglio, capace di evitare sterili esibizioni di istrionismo che possono certo capitare nel corso di una lunghissima carriera. Quel “particolare” si chiama semplicità. Pulsione umana. Una dote naturale che è una sorta di richiamo simbiotico all’empatia per lo spettatore. Questo, a maggior ragione, anche per quanto concerne ruoli in apparenza “negativi” ma in realtà ricchi di sfumature. Le stesse che, riflettendoci bene, rappresentano per intero la gamma di esseri che vanno a comporre il genere umano. Michel Piccoli è stato un attore che sapeva anteporre la propria essenza al suo ego, l’Uomo al personaggio. Marco Ferreri ne aveva colto alla perfezione questo lato facendone un simbolo della sua filosofia anti-umanista in cui l’Uomo, edonista senza possibilità di redenzione, può solo finire con il divorare, metaforicamente, se stesso. Per questo La grande abbuffata (1973) resta quel capolavoro scomodo da vedere e rivedere nel corso degli anni.
Michel Piccoli è stato un Ulisse che si spingeva verso ed oltre le famigerate Colonne d’Ercole sempre con umiltà e understatement, senza la minima ombra di isterismi divistici. Sarà per tale motivo che l’incontro artistico con un altro geniale sperimentatore cinematografico come Jean-Luc Godard ha regalato al mondo cinefilo risultati così memorabili. A partire dal leggendario Il disprezzo (1963). Un modus operandi, in sottrazione, che si confaceva alla perfezione al metodo di un altro maestro del cinema europeo, il portoghese Manoel De Oliveira; per il quale, in qualche modo, è stato addirittura inedita musa (maschile) ispiratrice. Opere come lo straordinario Ritorno a casa (2001) molto probabilmente non sarebbero mai state realizzate senza la centralità assoluta della sua figura.
Oltre ad un’opera in assoluto paradigmatica sulla genesi della creazione artistica come La bella scontrosa (1991) di Jacques Rivette – che l’anno successivo riprese vicenda narrativa e personaggi in La bella scontrosa – Divertimento – ci piace concludere questa rapida, troppo rapida, panoramica su Michel Piccoli con una delle sue ultime interpretazioni. Holy Motors (2012) di Leos Carax è un film manifesto sul cinema, forse l’ultimo di questo scorcio di millennio. E Piccoli non poteva che farne parte. Continueremo a (rim)piangerlo per l’eternità. Magari anche oltre.

Daniele De Angelis

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