Con Ceaușescu non si scherza
Romania, primi anni ’70. Alcuni studenti delle superiori si preparano a chiudere un ciclo, aspettando che arrivi il diploma e tentando magari di accedere all’università. A questo genere di tensioni si somma in certi casi la difficoltà a vivere i primi amori. E la classica festicciola coi compagni di studi o comunque con altri ragazzi potrebbe essere la miglior valvola di sfogo, per tutto questo eccesso di energie, aspettative, preoccupazioni…
Ma la Romania comunista del 1972 è un paese con regole tutte sue. A una breve stagione di aperture sociali ed economiche ha fatto seguito un giro di vite ancor più stretto. E il cosiddetto “culto della personalità” fa rima con repressioni, forme di controllo, limitazioni della libertà sempre più rigide e soffocanti. Per cui presentarsi a una festa con tanta gente e uscirsene con qualche pungente barzelletta su Ceaușescu rappresenta già un rischio. Ma ascoltare tutti insieme musica occidentale e programmi radiofonici proibiti può condurre tutto sommato a conseguenze ancora peggiori!
Specie se gli uomini della Securitate hanno già avuto modo di drizzare le antenne e individuare per tempo i potenziali “sovversivi”.
Presentato alla 34esima edizione del Trieste Film Festival, già Miglior Regia della sezione “Un Certain regard” a Cannes 2022, Metronom di Alexandru Belc condivide parecchi pregi di quel cinema rumeno che abbiamo visto e apprezzato negli ultimi anni. L’estrema precisione nel descrivere e rappresentare gli ambienti. La notevole cura formale. La plausibilità degli interpreti, più o meno giovani. Lo sguardo teso a indagare con sottigliezza e quasi sottotraccia determinate implicazioni sociali, sottese alla narrazione. Vieppiù una straordinaria capacità di accumulare tensioni, nervosismo, disagio, reazioni psicologiche estreme intorno ad archi temporali così concentrati, ristretti.
Quest’ultima qualità è del tutto evidente in come il regista ha saputo ritmare i tempi della trappola pronta a scattare sulla protagonista Ana e sui suoi amici, i quali nel corso di una serata all’insegna di piccole e grandi trasgressioni avevano pensato, ingenuamente, di far pervenire una loro lettera a Metronom, programma di Radio Free Europe censurato dal regime. Alle orecchie della Securitate questa loro intenzione era già arrivata, anche grazie alla complicità di un traditore in erba, disposto a prendere scorciatoie pur di ottenere dalla sbirraglia comunista qualche favore per sé e per la propria famiglia. Sicché quell’ameno “rito di passaggio” per molti dei ragazzi coinvolti diventerà un trauma indelebile.
Oltre ad affrescare psicologie credibili e a schierare una pletora di attori tutti molto in parte, Alexandru Belc ha lavorato veramente bene sul formato, sulla fotografia, sugli elementi scenografici, sulle musiche, su svariati altri dettagli in grado di contestualizzare e storicizzare l’azione; su tutti quegli elementi, insomma, che oltre ad accompagnare sontuosamente l’intensità della narrazione, fanno riemergere sul serio uno spaccato sinistro, e in ciò assai veritiero, di quell’epoca grigia, rendendo così Metronom uno dei lungometraggi più calibrati e interessanti dell’intero concorso.
Stefano Coccia