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Matthias & Maxime

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VOTO: 7

Lo schermo tagliato

Torna a Cannes 2019 il cosiddetto “enfant prodige” del cinema, Xavier Dolan con Matthias & Maxime, una delicata storia d’amicizia e amore latente di due ragazzi che si conoscono dall’infanzia. Una storia sulla perdita dell’innocenza nell’ingresso del mondo del lavoro, rappresentato nelle scene iniziale e finale dai burocrati, come dalla lettera di raccomandazione. Un passaggio che è anche geografico, passando dal Canada francofono all’Australia dove si deve trasferire Maxime. Il regista presta anche il corpo a uno dei due protagonisti, Maxime, accentuando così il carattere autobiografico dell’opera, i cui interpreti, visti nei loro momenti conviviali di gruppo, fanno tutti parte della cerchia di amici reali del filmmaker. Maxime è un bel ragazzo ma con il volto deturpato da una vistosa voglia di fragola, e qui risiede una delle prime trasgressioni del linguaggio cinematografico del regista, un’infrazione alla regola che vuole che il cinema mostri solo persone di bell’aspetto, come tali truccate da esperti di make up. In questo modo Dolan ci porta alle imperfezioni della vita, che in questo caso coinvolgono i sentimenti, l’insicurezza giovanile. Ma Matthias & Maxime è anche un film sul potere del cinema, sul suo ruolo in questo caso di scoperta della propria natura intima, sull’intreccio molto stretto tra rappresentazione e vita vera. La colpa è del film nel film. In questa costruzione di sincerità, Dolan usa la carta di un’ulteriore riflessione metacinematografica, quella della messa in discussione del suo stesso ruolo e della sua stessa consistenza di cineasta di ricerca da un lato e di filmmaker à la page nei festival dall’altro, di colui che è sempre stato coccolato a Cannes dove è stato anche messo sullo stesso piano di Godard, facendo gridare molti allo scandalo, con cui ha condiviso l’ex-aequo del Premio della giuria nel 2014.

C’è un punto di vista interno, nel film, che è quello della filmmaker amica dei due amici. Alter ego dello stesso Dolan? Si tratta in realtà di una figura un po’ strampalata che vorrebbe fare un film che sia al contempo impressionista ed espressionista. Il cinema di ricerca forzato, fine a se stesso, che vuole essere alternativo, come capita spesso di vedere in giro ai festival, è un cinema interno invece a un cinema che Dolan mantiene di impianto classico, con una narrazione a flashback successivi (espediente che nella settima arte è stato usato parecchie volte), che termina come un melodramma sentimentale, e che si incentra su quello che è un cliché totale come il bacio (che qui unisce cinema e cinema nel cinema). E l’altro polo è rappresentato dalla madre, in rapporto conflittuale con il figlio, interpretata dalla stessa Anne Dorval di Mommy. Madre che ama i grandi attori e registi del cinema classico.
Uno dei precedenti film del regista canadese, Mommy appunto, si caratterizzava con quel gioco continuo di cambi di ratio, come delle aperture e chiusure di un palcoscenico, con dei formati diversi e personalizzati di scena in scena. Cosa che oggi si può fare con il digitale che Dolan ha mostrato di essere in grado di saper usare e sfruttare al massimo. Con Matthias & Maxime il regista torna a usare l’obsoleta pellicola in 35mm ma non rinuncia a organizzare l’immagine in riquadri, a tagliare lo schermo in qualche modo, in questo caso con mezzi diegetici, finestre, vetrate. I baci dei protagonisti sono visti attraverso aperture di tende, con uno sguardo voyeuristico, sempre dalla stessa fessura. Il regista ritaglia anche dei riquadri rettangolari verticali, secondo la prospettiva da cellulare, che ormai è entrata nel nostro linguaggio visivo e percettivo. In un altro caso taglia una striscia in basso, lasciata in nero, in modo da creare un formato anamorfico. E Dolan regala una composizione straordinaria di una scena: mentre i due ragazzi fanno l’amore, avvolti dalla passione, visti da una finestra all’esterno, comincia improvvisamente a piovere e gli amici, nell’altra stanza, si precipitano a ritirare i panni appesi ad asciugare all’esterno. Così come sa anche velocizzare i tempi alla bisogna. Dolan ha confezionato così un’opera sulla, sua, vita, in equilibrio tra cinema classico e cinema sperimentale.

Giampiero Raganelli

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