Ogni giorno il solito tran tran
Roma e la sua vita frenetica. I giovani ed i loro sogni. Non è sempre facile riuscire a raggiungere i propri traguardi quando si è presi da mille cose, senza avere quasi mai tempo per sé stessi. È il caso, questo, anche della protagonista di Maria per Roma, opera prima – scritta, diretta ed interpretata da Karen Di Porto – presentata in anteprima all’interno della Selezione Ufficiale all’11° Festa del Cinema di Roma.
Maria è una giovane donna che vive in un monolocale insieme alla sua cagnolina Bea. Il suo sogno di sempre è diventare attrice, ma, per arrivare a fine mese, lavora – tra un provino e l’altro – come key holder presso un’agenzia che affitta appartamenti di lusso ai turisti. Dalla mattina alla sera la sua vita è una corsa continua. Sullo sfondo, la città di Roma, vera e propria coprotagonista della pellicola.
Leggendo la trama è molto probabile che questa opera prima della Di Porto possa apparire interessante. Magari già sentita e risentita, ma comunque potenzialmente interessante, quello sì. Qualsiasi aspettativa, però, viene purtroppo delusa già dalla prima sequenza, in cui vediamo la protagonista da bambina intenta a parlare di denaro con il proprio padre, il quale, venendo a sapere che la sera prima le era stata offerta una semplice pizza, le regala – a sua volta – un prezioso insegnamento per il futuro dicendole: “Nella vita nessuno deve mai regalarti nulla”, per poi allungarle una cinquantamila lire.
D’accordo, è un’opera prima, gli scivoloni capitano a tutti. Dopo i primi minuti, infatti, si spera ancora che, con il procedere della narrazione, il film possa acquisire man mano spessore. E invece no. Questo, purtroppo, non succede mai. A causa delle numerose problematiche, infatti, Maria per Roma – nonostante le evidenti buone intenzioni iniziali della regista – è un lungometraggio decisamente maldestro. Vediamo perché.
In primo luogo vi è la sceneggiatura. Elementi che vengono lasciati in sospeso e mai ripresi all’interno della storia (la cardiopatia della cagnolina Bea, il debito di 20.000 euro della madre di Maria, ecc.), dialoghi superflui e banali, espedienti che dovrebbero far ridere ma non ci riescono e trovate scontate e prevedibili rendono già di loro il film poco accattivante. A tutto ciò si somma una pessima – davvero pessima! – direzione degli attori (eccessivamente statici e quasi monoespressivi, fatta eccezione, forse, per la protagonista stessa)ed una regia piuttosto rudimentale che, per la maggior parte delle inquadrature fisse, vede i personaggi stessi in posa del tutto innaturale. Non dimentichiamo, a questo proposito, che la regista proviene da una lunga esperienza in campo teatrale. Esperienza, questa, che non sempre è d’aiuto, nel momento in cui per la prima volta ci si rapporta al cinema e che –in questo caso in particolare – ha creato soltanto ulteriori problematiche.
Il risultato, come si può ben intuire, riesce a provocare al massimo qualche risatina (volontaria o involontaria che sia). E tanto, tanto imbarazzo. I momenti peggiori, ovviamente, li si vive nelle scene in cui la protagonista, ripensando a suo padre morto, vede il suo pseudo fantasma davanti a sé e viene incoraggiata dalle parole di quest’ultimo. Soluzione, questa, decisamente poco azzeccata.
Volendo, però, trovare degli elementi positivi in Maria per Roma, c’è da dire che, malgrado la scarsa riuscita, questa opera di Karen Di Porto, tutto sommato, non cerca di accattivarsi le simpatie del pubblico – al contrario di quanto viene fatto in molte altre pellicole – in modo furbo e subdolo. Quello no. Anzi, vista l’onestà intellettuale su cui si basa il tutto, c’è da sperare in futuri lavori migliori, dal momento che attualmente evidente è la poca dimestichezza con il mezzo cinematografico stesso. E poi non dimentichiamo Bea, il jack russell della protagonista. Deliziosa! Indubbiamente, l’elemento migliore di tutto il film.
Marina Pavido