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Mare

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VOTO: 7

Una Madame Bovary all’aeroporto

Il mare d’inverno, anzi, “la Mare d’inverno”. Perché Mare in questo caso non ha a che fare con le ampie distese d’acqua salata, è semplicemente il nome della protagonista. L’inverno invece c’entra, eccome, perché il film della regista Andrea Štaka lo abbiamo scoperto grazie alla rassegna Cinema Svizzero a Venezia #10 Winter Edition, che si sta svolgendo proprio in questi giorni presso Palazzo Trevisan degli Ulivi, avendo quale fiore all’occhiello un programma speciale interamente dedicato al celebre fumettista Hugo Pratt.

Tornando a Mare di Andrea Štaka, già presentato alla Berlinale nel 2020, trattasi di una co-produzione tra Svizzera e Croazia, la cui anima per l’appunto non è collocata tra le Alpi bensì sulle sponde dell’Adriatico. Il film è ambientato a Dubrovnik, nota anche come Ragusa. Città portuale incantevole, con trascorsi da repubblica marinara, che però l’autrice ha pensato di raccontare da un punto di vista periferico, volutamente marginale, scegliendo di far vivere la famiglia della protagonista in un appartamento malmesso e sovraffollato a due passi dall’aeroporto; vero e proprio orizzonte degli eventi, quest’ultimo, sin dal camera car iniziale.
La già menzionata Mare (interpretata ottimamente da Marija Škaričić) buca lo schermo coi suoi lineamenti inquieti, presentandosi da subito quale moderna Madame Bovary frustrata dalla stagnazione di fondo, in cui è precipitata da tempo la propria esistenza, tentata dal nuovo (rappresentato nella circostanza da un amante che pare quasi passato di lì per caso), ma ancora turbata all’idea di sciogliere i suoi legami affettivi col resto della famiglia, cui vuole comunque bene.

La regia di Andrea Štaka è senz’altro da elogiare per la cura delle ambientazioni, per quello studio delle relazioni prossemiche tra i personaggi principali (affrescate molto bene anche le figure del marito e dei figli di Mare), di cui viene messa in discussione continuamente la privacy e la libertà delle scelte, in un contesto socio-famigliare tanto asfittico.
Eccessiva enfasi viene forse concessa registicamente ai primi incontri amorosi tra la protagonista e il giovane lavoratore polacco (impersonato da Mateusz Kościukiewicz), con tanto di slancio seduttivo mentre lui è intento a riparare una lavatrice, dopo essere stato invitato in casa dalla donna, che sa un po’ troppo di barzelletta sugli idraulici…
Qualche frangente in cui esplicitare il calore umano dei personaggi, tuttavia, andava in ogni caso cercato e trovato, allorché la poetica di Mare pare fondarsi maggiormente sul non detto, sulle relazioni vissute come routine, sui desideri di fuga a lungo rimandati. Almeno fino a quando qualche scossone non arriva a incrinare quegli equilibri e ad annunciare, tipo “esplosioni vulcaniche” vissute sottopelle, un possibile cambiamento.

Stefano Coccia

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