La lunga discettazione filosofica di Puiu
Di fronte a un’opera cinematografica desunta da un testo letterario, si pone un ulteriore criterio critico, ossia quello di valutare le differenze tra le due opere e soprattutto se l’adattamento è funzionale. Nel passaggio da una forma scritta a una fisionomia visuale l’autore – sceneggiatore e/o regista – deve operare una transcodificazione, che si verifica anche nel prendere e ri-arrangiare, secondo il suo gusto critico e artistico, un testo che non è suo. Tra sfrondamenti per rinchiudere una trama letteraria a una durata cinematografica normale (o sfoltimenti dettati da mere questioni di budget), aggiornamenti temporali o geografici del testo, oppure modifiche per far incanalare il testo scelto nel proprio stile, i due medium – letterario e cinematografico – possono avere delle variazioni. Caso a parte l’adattamento di una pièce teatrale, che è di per sé visuale, ma che nel trasloco ad altro medium deve rendere tangibili le differenti scenografie, come ad esempio può facilmente capitare con le modellabili tragedie o commedie di William Shakespeare. Malmkrog (2020) di Cristi Puiu va al di là di queste complicanze di transcodificazioni, perché il testo da lui scelto per una trasposizione cinematografica deriva da il saggio filosofico I tre dialoghi e il racconto dell’anticristo (1899-1900) del russo Vladimir Sergeyevich Solovyov (1853-1900).
Prima di passare per il Festival #Cineuropa34, la pellicola era stata presentata al Festival di Berlino, nella sezione Encounters, dove Cristi Puiu si era aggiudicato il premio come miglior regista. Riconoscimento meritato, perché la messa in scena del regista rumeno è preziosa e impeccabile, e conferma come sia uno degli autori europei più interessanti del nuovo millennio, oltre ad essere una delle punte di diamante della New Wave rumena sorta nella seconda metà del Duemila (Cristian Mungiu e Călin Peter Netzer, per fare altri due nomi stimati internazionalmente). Ma lo splendore e l’importanza di quest’opera si fermano quasi in questo preziosismo registico, oltre alla bravura degli attori, che a volte devono recitare complicate discettazioni e affrontare lunghi piani sequenza. Malmkrog, che si sviluppa in 200 minuti, è un’opera ostica non tanto per i contenuti, quanto per una messa in scena ai limiti dell’austerità e un andamento rigido. Il saggio di Solovyov contiene riflessioni e speculazioni su argomenti etici e morali, oltre che su considerazioni sulla società del tempo, e la trasposizione di Puiu mantiene questo aspetto verbale e meditativo, mettendo in primo piano le dispute che hanno i diversi personaggi a confronto. Per rendere più simbolica la trama e utilizzare i pensieri di Solovyov in termini universali, Puiu non ascrive la trama in nessuna epoca storica ben definibile, sebbene i costumi mettano in evidenza il periodo, e nemmeno puntualizza l’ambientazione (una villa isolata in un paesaggio montano innevato). Malmkrog, suddiviso in 6 capitoli, ognuno dedicato a un personaggio, è un’opera definibile come elitaria, filologicamente attenta (i personaggi parlano in francese, come era d’uso nell’aristocrazia dell’Est Europa dell’Ottocento), ma fruibile solo da un pubblico di profonda cultura. A suo modo l’opera di Puiu, che recupera un saggio fondamentale per la cultura del Novecento, potrebbe anche essere recepita come un atto culturale contro molte pellicole odierne che affrontano temi in modo superficiale, non utilizzando il cinema come strumento d’informazione culturale.
Roberto Baldassarre