Tanto rumore per nulla
Non è facile mettere in scena la mente e ciò che accade dentro di essa, così come non è facile raccontare la follia, evitando pericolosi scivoloni e banali luoghi comuni. Ci sono riusciti, a loro tempo, David Lynch, David Cronenberg, ma anche Robert Wiene, Miloš Forman e pochi altri ancora. Dal momento, però, che nel 2017, dopo quasi 122 anni dalla nascita del cinema, ormai tutto – o quasi – è già stato detto, non resta che elaborare di volta in volta un concetto nel modo più personale possibile, spesso e volentieri fondendolo con altri temi e facendo in modo che il risultato finale sia un prodotto degno di nota. Questo è, dunque, quello che è stato fatto da Nicole Garcia, regista ed attrice francese, con il suo Mal di pietre, presentato in concorso al Festival di Cannes 2016. Per quanto riguarda la storia di partenza, le è venuta in aiuto la scrittrice nostrana Milena Agus – la quale ha scritto l’omonimo romanzo da cui è tratto il presente film. Una storia, questa, dove la follia si intreccia al bisogno d’amore, alla passione ed anche alla difficoltà di adattarsi ad un contesto considerato eccessivamente arcaico e perbenista. Una storia potente, soprattutto per quanto riguarda le pieghe prese durante la narrazione. Una storia, però, che necessita anche di una messa in scena robusta e priva di falle, data la sua complessità. E qui casca l’asino.
Gabrielle non è una persona semplice. Nata e cresciuta in un piccolo paesino nella Francia degli anni Cinquanta, ben poco sembra adattarsi al contesto in cui vive, alle tradizioni ed alla mentalità eccessivamente chiusa e provinciale dei suoi compaesani. È, al contrario, una donna libera, appassionata, fortemente bisognosa d’amore ed estremamente fragile. Talmente fragile da soffrire di “mal di pietre”, con tanto di dolorosi crampi addominali. Un male, il suo, del tutto psicosomatico, che soltanto curando mente e spirito potrà essere sconfitto. Per quanto riguarda la mente, però, i problemi sono ben altri, dal momento che proprio per questo suo modo di “urlare” i suoi bisogni affettivi, Gabrielle è, a detta di tutti, famigliari compresi, completamente pazza. Solo suo marito, sposato più per il desiderio di fuggire da quell’ambiente angusto ed ostile che per amore, sembra riuscire a “leggere tra le righe”, a capire quella persona così complessa e così ostinata che vive al suo fianco.
Un personaggio dalle mille sfaccettature, dunque, quello di Gabrielle. Un personaggio che viene reso magnificamente sullo schermo dalla bravissima Marion Cotillard (lei, si sa, può davvero tutto), ma a cui non viene reso giustizia dal punto di vista dello script in sé: quel che emerge della protagonista è solo la “punta dell’iceberg”. Nulla ci viene detto del suo passato, ben poco vengono approfonditi i legami con José – suo marito – ed André, il suo amante. Personaggi, anch’essi, di grande interesse e complessità (soprattutto per quanto riguarda José), ma che vengono qui sviluppati in modo eccessivamente raffazzonato e frettoloso. Il tentativo di narrare per immagini i tormenti interiori di ognuno di essi risulta, dunque, carente di una necessaria e più profonda introspezione, così come il buon Ingmar Bergman ci ha insegnato. Ma, si sa, non è affatto facile rifare Ingmar Bergman.
Ben poco, quindi, possono suggestive inquadrature di panorami mozzafiato o fedeli ricostruzioni di ambienti d’epoca. Il grande problema di Mal di pietre – oltre alla musica eccessivamente presente, smielata e quasi patetica – è proprio lo script. Uno script che, pur mantenendo di base la storia originale, ha voluto “spiccare il volo”, assumere una propria identità perdendo, però, il controllo della situazione e dando vita a qualcosa di banale ed inconsistente, con importanti snodi narrativi forzati e prevedibili, malgrado le iniziali potenzialità. Uno script a cui si perdonano, tuttavia, soltanto i velati riferimenti/omaggi al cinema ed alle sue origini (vedi la cittadina di La Ciotat, dove vivono Gabrielle e José, ma anche la loro permanenza a Lione – città dei fratelli Lumière – presso l’hotel Langlois – proprio come il caro vecchio Henri Langlois!). Ma, si sa, tutto questo non è abbastanza. Ed ecco che anche Mal di pietre si andrà ben presto ad unire ai numerosi prodotti passati in sala e finiti quasi subito nel dimenticatoio. Triste, ma purtroppo molto, molto probabile.
Marina Pavido