L’assassinio della ragazza venuta dal nulla
Patrice Leconte, Gerard Depardieu e il Commissario Jules Amédée François Maigret. Basta questo terzetto composto da pesi massimi della Settima Arte e della letteratura per scatenare un desiderio fortissimo di lanciarsi alla ricerca della sala più vicina per assistere al risultato del loro primo incontro sul grande schermo. Dal momento immediatamente successivo a quando è iniziata a circolare la notizia che il regista avrebbe riportato al cinema il celebre personaggio nato dalla mente e dalla penna di Georges Simenon nel lontano 1929 e che a vestirne i panni sarebbe stato l’attore francese, l’attesa e la curiosità si sono subito fatte strada nel pubblico schizzando alle stelle. Bisognerà però attendere il 15 settembre, giorno scelto dalla Adler Entertainment per l’uscita nelle sale nostrane, per scoprire se questo affascinante intreccio ha dato dei buoni frutti o è stata solamente una mera illusione .
Per il suo faccia a faccia con la creatura letteraria dello scrittore belga, già protagonista di numerose produzioni cinematografiche, radiofoniche e televisive, Leconte è andato a pescare da uno dei settantacinque romanzi e ventotto racconti di genere poliziesco che la vedono protagonista. Si tratta di “Maigret e la giovane morta”, il quarantacinquesimo libro della collection, pubblicato per la prima volta in Francia nel giugno del 1954 dall’editore Presses de la Cité, già adattato per il piccolo schermo in quattro occasioni in altrettante serie televisive. Quella firmata dal cineasta parigino è dunque la prima trasposizione cinematografica del romanzo in questione, che consente al celeberrimo commissario di tornare nelle sale a distanza di oltre cinquant’anni dall’ultima apparizione nel film di Mario Landi tratto da “Maigret a Pigalle” con Gino Cervi nei panni di Maigret. Nel mezzo tanti passaggi televisivi, con la più recente risalente al 2016, anno di produzione delle due stagioni della serie con Rowan Atkinson.
Ma ora è il turno di Depardieu di calarsi nelle vesti del commissario nel Maigret di Leconte, che a sua volta ha scelto una rilettura non fedelissima del romanzo di partenza, prendendosi delle libertà narrative e drammaturgiche rispetto al racconto originale della matrice letteraria. Libertà che in questo caso non hanno il sentore di una presa di posizione o di un distacco violento, piuttosto di un aggiustamento di tiro per avvicinare al proprio gusto personale e al suo indirizzo cinematografico tanto il personaggio quanto la scrittura di Simenon. Il tutto però senza stravolgerli o l’avere la presunzione di rivoluzionarne l’identikit, ma nel pieno rispetto degli elementi fondanti e di un immaginario ormai marchiato a fuoco nella mente e negli occhi dei lettori e degli spettatori di mezzo mondo. E infatti se da una parte il regista francese ha apportato dei correttivi al racconto, mirati a circoscriverlo e a renderlo più fruibile cinematograficamente, che vede Maigret alle prese con le indagini sull’omicidio di una giovane ragazza di provincia senza identità, uccisa con cinque coltellate, in Place Vintimille a Parigi, con indosso un abito da sera e una borsetta, dall’altra non tradisce gli elementi genetici del personaggio tantomeno il suo modus operandi e investigativo.
Impersonificato in maniera efficace da Depardieu, che come illustri predecessori del calibro di Pierre Renoir, Jean Gabin e del già citato Gino Cervi, ha saputo cucirselo addosso nel migliore dei modi, il personaggio ha comunque mantenuto i suoi elementi distintivi: un uomo dall’aspetto severo, spesso chiuso nelle sue riflessioni, dal carattere scontroso e a tratti irritabile; il suo corpo sembra assorbire le atmosfere dei luoghi dov’è avvenuto un crimine e appare divenire sempre più lento e pesante man mano che si compenetra nel caso che sta trattando. Il Maigret di Depardieu è appesantito, sofferente, malaticcio e per questo orfano per gran parte della timeline della sua inseparabile pipa, tormentato da un passato doloroso che torna a galla a causa delle indagini alle quali prende parte per trovare i responsabili della morte della giovane vittima di turno, che lo porteranno a muoversi senza soluzione di continuità tra i sobborghi della periferia parigina e le tenute e i locali frequentati dall’alta borghesia. In tal senso, puntare sull’attore francese è stata per quanto ci riguarda una scelta azzeccata, poiché capace di donare al personaggio una corpulenza, una gravitas fisica e morale che bene si sposano con la sua natura primigenia.
Da parte sua, Leconte immerge questa figura in un period-drama poliziesco molto curato nella confezione, con costumi e scenografie che ricalcano alla perfezione l’epoca in cui l’inchiesta si svolge. Ne viene fuori un adattamento classico, al limite del convenzionale, che non ha particolari guizzi tecnici se non la decisione del regista di contrapporre all’imponenza e all’impatto delle ambientazioni uno stile più contemporaneo che predilige una macchina da presa a mano sporca, con scatti nervosi che si vanno a poggiare sui personaggi e sugli oggetti. Uno stile quello utilizzato da Leconte in Maigret che ricorda tecnicamente e cromaticamente quello del quale si è servito Pitof nel suo Vidocq, dove anche in quel caso, per uno strano scherzo del destino, c’era Gérard Depardieu nei panni dell’investigatore. Così facendo si assiste a un’interessante contrappunto tra lo scorrere blando del racconto e il ritmo più frenetico e accelerato impresso dalla macchina da presa alla sua messa in quadro. Scelta, anche questa, interessante, che diversifica questo adattamento dagli oltre duecento realizzati sin qui tra cinema e televisione dei romanzi dedicati al commissario. I dubbi semmai sorgono nel momento in cui si pensa al progetto in sé e al formato scelto per accoglierlo. Vedendo il risultato e il potenziale del racconto, forse la scelta più giusta per valorizzare il suddetto romanzo sarebbe stata una nuova trasposizione seriale invece di una filmica più compressa, che con i tempi più lunghi e dilatati in dotazione avrebbe consentito alla narrazione e alla drammaturgia di avere uno sviluppo più fisiologico e adeguato alla tipologia di storia e all’approfondimento di alcuni personaggi qui utilizzati con il contagocce, come ad esempio quello della moglie. Ma quel che è fatto è fatto.
Francesco Del Grosso