Stalker alla messicana
Il 17 luglio, ultima giornata del 36 °Fantafestifal al Savoy, ci si è confrontati con una carrellata di film, tre per l’esattezza, il cui inserimento in programma aveva saputo stuzzicare la nostra curiosità. Da catalogo, ecco il motivo della loro presenza: Il Fantafestival in collaborazione con Blood Windows presenta il cinema fantastico dell’America Latina. Ottime le premesse, almeno sulla carta. All’atto pratico, però, almeno due visioni su tre si sono rivelate tutt’altro che esaltanti. Ci sorprende non poco, del resto, che il Pipistrello d’Oro per il Miglior Lungometraggio Straniero sia stato successivamente attribuito a Testigo Íntimo dell’argentino Santiago Fernández Calvete: un thriller psicologico capace di generare più sbadigli che spaventi, in sala. Non che le cose siano andate molto meglio, qualitativamente, nel passare il confine tra l’Argentina e il Cile. Ritmo decisamente più elevato, in Downhill di Patricio Valladares, ma per raccontare una storia di stregonerie, misteriosi contagi e sacrifici rituali (sviluppatasi peraltro a ridosso di un anomalo contesto sportivo, abbandonato presto e pretestuosamente), parsa ai più senza capo né coda. In mezzo alle due delusioni sudamericane, era stato invece proiettato un film messicano magari imperfetto, magari appesantito da qualche caduta di stile sul finale, che però certe torbide emozioni è riuscito infine a regalarcele, grazie anche a interpreti più che discreti. Il film in questione è Luna de Miel di Diego Cohen.
Ci perdoni semmai Tarantino, per aver titolato il pezzo con una ardita parafrasi dello “stallo alla messicana” a lui così caro. Qui non ci sono pistole puntate l’una contro l’altra. Ma c’è per l’appunto uno “stalker”: il compito e fondamentalmente introverso medico Jorge, uomo belloccio ma dall’aria impacciata, sinistra, che da tempo ha preso di mira una bella e sensuale vicina, Isabel. Non è così scontato, specie paragonando l’esito del film messicano a quello di gran lunga più modesto delle altre visioni di giornata, vedere all’opera un villain talmente magnetico, accattivante, fantasioso nelle torture e non privo di qualche spessore psicologico, come il tetro dottore magnificamente interpretato da Hector Kotsifakis. Nel film lo vediamo osservare e pedinare con metodo la povera donna, così da poterla poi sequestrare, segregare in un luogo segreto e costringere a un grottesco quanto insano “rapporto matrimoniale”, fondato sull’assoggettamento e su feroci punizioni, qualora la vittima osi ribellarsi. Ma questa morbosa ossessione erotica degenerata in psicosi avrà anche altri risvolti. E sul finale vedremo ribaltarsi ancora una volta il punto di vista iniziale, sì da catapultare Luna de Miel verso gli orizzonti, ugualmente sadici, di un revenge movie meno banale di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.
Stefano Coccia