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L’ultimo Capodanno

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VOTO: 7

Botti di fine anno

Un lavoro scoppiettante in tutti i sensi, L’ultimo Capodanno, diretto da Marco Risi nel 1998 e riproposto al pubblico durante la cinquantacinquesima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, all’interno della sezione dedicata al cinema di genere italiano.
E se è vero che, nel corso della sua lunga carriera, il figlio del grande Dino Risi ha rivelato uno sguardo in grado di fotografare ogni più disparata situazione, bisogna riconoscere che il presente lavoro è indubbiamente il suo lungometraggio più “estremo”.

Questa bizzarra storia corale si svolge unicamente all’interno di un elegante condominio sulla via Cassia, a Roma. Qui, durante la sera del 31 dicembre, con il discorso del presidente Scalfaro a fare da sottofondo nelle televisioni accese, si svolgono le vicende di una giovane e affascinante moglie che scopre il tradimento del marito, di due ragazzi alle prese con droghe leggere all’insaputa dei loro genitori, di una donna che si pente di aver ingerito una consistente dose di sonniferi al fine di suicidarsi, di un padre di famiglia che dà segretamente sfogo al suo desiderio di rapporti sadomaso, di una sgangherata banda di rapinatori, di un’anziana signora che non vuole accettare il tempo che passa e, in occasione della festa di Capodanno, chiama a casa sua un gigolò e, infine, di un uomo appassionato di auto d’epoca, il quale riceve come regalo, da parte della sua famiglia, un paio di fanali originali per la sua amata automobile.
Tratto da un racconto di Niccolò Ammaniti, L’ultimo Capodanno vede – oltre all’impiego di un cast stellare – un Marco Risi scatenato più del solito, che non ha paura di osare, di esagerare, per un lungometraggio colorato, irriverente, dal montaggio – man mano che ci si avvicina al finale – sempre più serrato e che, in modo divertente e divertito, si rivela perfettamente a proprio agio nel non sempre facile ambito del pulp. Al punto da diventare un vero e proprio cult, quasi al pari del fortunato Vacanze di Natale, realizzato pochi anni prima dall’amico Carlo Vanzina. Ma attenzione: in questo caso stiamo parlando di prodotti decisamente diversi. Se, infatti, pur volendo divertire il pubblico, Vanzina mirava soprattutto a tracciare un fedele ritratto della società dell’epoca, Risi, dal canto suo, sembra unicamente volere divertire e volersi divertire egli stesso, attingendo a piene mani da quanto realizzato in passato, ma dando vita, al contempo, a qualcosa di totalmente personale.
Un lavoro imperfetto, L’ultimo Capodanno, quello sì. Soprattutto se si pensa alla non sempre riuscita distribuzione degli spazi tra una storia e l’altra. Ma, si sa, quando si tratta di mettere in scena prodotti corali, il rischio di bilanciare male le cose è sempre troppo alto.
Eppure, nonostante tutto, questo singolare e bizzarro lavoro di Marco Risi colpisce nel segno, riuscendo a divertire in modo genuino – e, a tratti, addirittura catartico – persino il pubblico più esigente, per iniziali finalità da parte dell’autore stesso che, al termine della visione, possono dirsi pienamente riuscite.

Marina Pavido

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