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Loving

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VOTO: 8

Questa terra è la nostra terra

Nel cinema di Jeff Nichols è sempre l’imprevedibile soggettività dell’essere umano ad increspare le acque stagnanti dello status quo, per condurre ad un cambiamento determinante nei micro e/o macrocosmo di riferimento. Dopo le faide irreversibili di Shotgun Stories (2007), l’Apocalisse urlata dalla Cassandra maschile inascoltata di Take Shelter (2011), il romanticismo senza fine del fuggiasco di Mud (2012) e la diversità “aliena” di Midnight Special (2016), ecco quella che a prima vista potrebbe sembrare una summa ingigantita di tutte queste componenti, ovvero la lotta nei confronti dell’ottusità burocratica che, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, considerava reato punibile con la prigione il matrimonio interrazziale.
Tutto questo è Loving, opera all’insegna della duplicità di lettura sia a partire dal titolo che nell’evoluzione narrativa, tratta – come si intuisce dalla premesse – da una storia vera. Ma più che la messa in scena di una vicenda edificante a proposito della sacrosanta affermazione del diritto di amare chiunque si voglia (Loving inteso come gerundio simbolico e “continuativo” del verbo amare, in inglese), il quinto lungometraggio diretto da Nichols riguarda l’importanza del singolo come elemento perturbante nei confronti della compattezza del blocco sociale. Meglio ancora se esso viene completato dalla sua naturale controparte femminile. Richard Loving (un misuratissimo Joel Edgerton) è infatti il nome del protagonista maschile, l’uomo comune, il manovale cresciuto in una piccola comunità di una contea rurale della Virginia dove non sussistevano nemmeno all’epoca differenze dovute al colore della pelle. A lui, come appunto ideale completamento umano, si aggiunge Mildred Loving (straordinaria Ruth Negga, capace di conquistare la platea con la dolcezza dolente del suo sorriso), ragazza afroamericana da Richard regolarmente sposata in quel di Washington per sublimare un rapporto sentimentale indissolubile coronato dall’attesa di un figlio. Tornati a casa in Virginia i due vennero nottetempo arrestati per aver infranto una legge dello stato atta a preservare la moralità sociale: giacevano assieme nel medesimo letto. L’atto matrimoniale, compiuto altrove, non venne considerato valido e la condanna fu ad un anno di prigione con sospensione della pena a patto che la coppia avesse abbandonato la Virginia per un periodo di venticinque anni. Iniziò così una vita in fuga, da clandestini nel grande paese terra di speranze per molti e frustrazione per altri.
L’essenziale bellezza di Loving risiede proprio nel sua viaggiare sottotraccia, senza toccare esplicitamente le corde dell’indignazione verso il pubblico ma anzi cercandone la complicità attraverso l’empatia con i personaggi. Un approccio registico ammirevole che potrebbe sbrigativamente spingere qualche critico a catalogare il film in una ipotetica corrente neoclassica in stile eastwoodiano ma che invece si nutre della modernità assoluta del riuscire a partorire emozione partendo dal dettaglio, nei silenzi significativi o negli sguardi scambiati di nascosto tra i personaggi. Jeff Nichols dedica la sua attenzione principale non alla comunque importante lotta degli avvocati dei diritti civili che prendono a cuore il caso dei coniugi Loving, bensì allo scorrere del tempo, alle vicende quotidiane che si accumulano, con qualche picco di tensione come capita nell’esistenza di ognuno, fino ad arrivare alla serena compostezza di veder riconosciuto il diritto di crescere figli senza correre il rischio che essi vengano considerati reietti privi di nome. La componente melodrammatica, insomma, in Loving è presente in stato latente proprio allo scopo di essere rielaborata soggettivamente dalla singola sensibilità spettatoriale. Riuscendo quindi a far risaltare la piena specularità, in modo a dir poco intelligente e stimolante, tra la tematica preferita da Nichols – quella del Davide che sfida il Moloch sociale – e la lettura tra le righe che vede lo spettatore costruirsi la propria chiave di interpretazione dell’opera prendendo ovviamente spunto dall’abnormità di un’ingiustizia senza eguali ieri come oggi: quella della discriminazione razziale.
Loving è dunque grande, grandissimo cinema lontano da qualsiasi tentazione moralistica; un’opera umanista implicitamente dedicata, con il proprio andamento pacato e diretto al cuore di chi lo guarderà con la dovuta attenzione, a tutti coloro che, nell’anno 2017, ancora vedono nella costruzione di muri separatori, siano essi fisici o morali, l’unica e definitiva soluzione ai problemi del mondo.

Daniele De Angelis

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