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L’ospite

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VOTO: 7

Il gioco delle coppie

Cene tra amici. I personaggi di Perfetti sconosciuti avevano puntato tutto sui telefonini, per dar sfogo al loro masochismo e rovinarsi l’un altro. In un film come L’ospite la tecnologia diventa quasi superflua. Può sempre complicare le cose, è vero, ma di fondo i protagonisti hanno già tutti gli strumenti utili per far fallire un rapporto, per approdare all’incomprensione, per orientarsi a stento tra equivoci e illusioni. Tali scompensi stanno già nella loro testa e aleggiano in vite minate dall’abitudine.
In questo suo secondo lungometraggio, dopo aver esordito bene con Short Skin, il toscano Duccio Chiarini ha scelto la strada di difficili equilibri esistenziali. Ha voluto raccontarci come può finire un amore apparentemente solido, in un quadro generale che alla precarietà affettiva associa (costante del cinema italiano degli ultimi anni) una precarietà economica sempre più diffusa, tra le nuove generazioni.

Piccola produzione indipendente targata Mood Film, L’ospite non si avvale di scene madri o di grossi strappi per mettere in scena rapporti che lentamente si incrinano, che vedono piccole crepe trasformarsi in voragini, che si avviano quasi in sordina verso la rottura. Il mood scelto da Chiarini corrisponde invece a un grigiore contemporaneo, espresso però attraverso dialoghi coloriti ed ironici, tramite situazioni che, pur senza calcare troppo la mano, aspirano ad essere paradossali e grottesche; ma di converso molto vicine al nostro vissuto. Tragicommedia di un presente incerto. E tali parametri esistenziali si riflettono in partner insicuri che pedinano la compagna sul posto di lavoro, in coppie che si fanno e si disfano come la rosa della Roma a fine stagione, in precipitose fughe a casa dai genitori, i quali possono risultare immersi a loro volta in una vita coniugale non meno disastrata e soffocante, quasi a suggerire che l’imprinting ai figli può essere arrivato proprio da lì.
Il notevole senso di immedesimazione che tale racconto cinematografico finisce per suscitare è dovuto anche all’ottima composizione del cast, in cui primeggia ovviamente la scombinata coppia di fidanzati formata da Guido (Daniele Parisi) e Chiara (Silvia D’Amico). Daniele Parisi, in particolare, sta diventando un’icona di forte disagio generazionale, che in film come questo o come Orecchie sa comunicare, con un mix si spaesamento e autoironia, tutte le tare della nostra epoca. Prestategli attenzione: potrebbe rappresentare per questa stagione del cinema italiano ciò che in una fase precedente aveva rappresentato, specie agli inizi, Valerio Mastandrea. Accanto a lui un nugolo di interpreti parimenti bravi e credibili, da Anna Bellato a Daniele Natali, da Guglielmo Favilla a quella Thony, cantante ed attrice, che era stata lanciata da Virzì in Tutti i santi giorni e che figura ugualmente tra i volti più interessanti approdati sullo schermo negli ultimi anni.

Stefano Coccia

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