Verso un mondo migliore
Fuggire. Fuggire lontano. Fuggire di notte, lungo un’autostrada deserta. E poi nascondersi nelle cantine di un vecchio palazzo. Ma, di fatto, fuggire da cosa? E, soprattutto, cos’è che ha fatto sì che la fuga sembri l’unica soluzione possibile? A mettere in scena tale estrema situazione ha pensato il giovane cineasta colombiano Camilo Restrepo con la sua opera prima, Los conductos, presentata in anteprima alla 70° edizione del Festival di Berlino, all’interno della nuova e fortemente sperimentale sezione Encounters.
Un giovane ragazzo, dunque, corre veloce sulla sua moto. Sono soltanto alcune sostanze stupefacenti a fargli compagnia durante le sue soste notturne. Lo stesso, poco dopo, si ritrova a lavorare in una fabbrica di t-shirt e, a poco a poco, rigorosamente in voice over, inizia a raccontarci la sua storia. Una storia di violenze, dove l’unica possibilità per sentirsi ben accetti agli occhi del “mondo” (così era solito, insieme ai suoi amici, denominare chiunque non facesse parte della sua quotidianità) era, appunto, appartenere a determinate bande di strada. Ma le cose, si sa, non restano mai sempre uguali.
Con questo suo piccolo e prezioso Los conductos (girato interamente in 16mm), Camilo Restrepo ha voluto raccontare le vicende di un singolo individuo, facendo sì che le stesse diventassero immediatamente allegoria dei giorni nostri e di una Colombia che, a causa di determinate situazioni politiche, non è più, ormai, la stessa.
Un’operazione, la presente, che indubbiamente è già stata effettuata più e più volte nel corso degli anni. Eppure, Restrepo, malgrado la sua relativamente breve esperienza dietro la macchina da presa, è riuscito a dar vita a un linguaggio tutto suo. Un linguaggio fatto di dialoghi brevi e concisi (ma che sanno colpire come un pugno allo stomaco) e da lunghi, interminabili silenzi. Un linguaggio dove, nonostante l’assenza di ogni qualsivoglia superfluo virtuosismo registico, il tocco altamente visionario e a tratti onirico del giovane regista si fa sentire forte e chiaro e sta a conferire all’intero lungometraggio una ben marcata personalità.
Non ha paura, Camilo Restrepo, di osare. Non ha paura di spingersi oltre le convenzioni. E questo suo coraggio vede la sua piena realizzazione proprio nel presente Los conductos, per un lavoro ruvido, impietoso e a tratti doloroso, dove massima attenzione è prestata ai piccoli gesti del quotidiano (dall’accensione di una semplice sigaretta al lavoro ripetitivo e monotono all’interno della fabbrica di t-shirt) e dove la macchina da presa non si fa sfuggire nemmeno la più apparentemente insignificante espressione facciale dei personaggi qui rappresentati. E dove, soprattutto, di fronte a una realtà che sembra lasciare ben poche speranze per un futuro migliore, l’idea che con il proprio operato si possa realmente, in qualche modo, “cambiare il mondo”, si fa vera e propria colonna portante di tutto il film.
Ed ecco che questa nuova sezione Encounters – la quale vede come obiettivo principale quello di selezionare un nutrito numero di lungometraggi di finzione dove si sperimentano in continuazione nuovi linguaggi – ben si sposa con la politica cinematografica del Sud America stesso, luogo in cui da sempre viene prestata grande attenzione a un cinema fortemente sperimentale, puntando anche, spesso e volentieri, su nomi “nuovi”. E così, questo piccolo e prezioso Los conductos parla da sé. E, all’interno della variegata e ricercatissima selezione berlinese, si è rivelato una piccola e piacevole sorpresa.
Marina Pavido