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L’ombra di Caino

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VOTO: 6.5

Effetti collaterali (non) previsti

La notte del 5 novembre 2025 scompare una bambina di nome Angela. Intorno a questo ennesimo caso di sparizione si intrecceranno le vite e le storie di un giovane Ispettore, di Ada, una giovane donna alla ricerca della sua piccola sorella scomparsa molti anni prima; ed infine di Eddi un transessuale speaker di un programma radiofonico notturno.
Basta dare uno sguardo alle poche righe di sinossi de L’ombra di Caino per rendersi subito conto di quanto il cortometraggio scritto e diretto da Antonio De Palo, presentato fuori concorso al Bif&st 2016 e nella sezione “Corti Puglia” della 14esima edizione del Salento Finibus Terrae, sia il frutto di un progetto ambizioso, sia in termini produttivi che da quelli più squisitamente artistici e tecnici. In tal senso, la confezione e la resa visiva, così come il ricco e variegato cast a disposizione (Valeria Solarino, Giorgio Colangeli, Michele Venitucci, Lidia Vitale, Valentina Carnelutti e Lino Guanciale), lo confermano ampiamente. In effetti, una così nutrita schiera di attori e attrici di richiamo radunata in una produzione breve non è all’ordine del giorno, per cui va riconosciuto il merito al regista di Molfetta classe 1981, autore del pluridecorato Volti, di essere riuscito a metterla in piedi. Tutti, ciascuno con le proprie caratteristiche, si mettono al completo servizio di una carrellata di personaggi che presentano non poche difficoltà, a cominciare dalla credibilità e dalla messa in scena.
La messa in scena è, in particolare, la variante più complicata da affrontare e oltrepassare quando si decide di misurarsi con certe tipologie di progetti. Scorrendo gli annuari e i database è piuttosto semplice imbattersi in operazioni analoghe a questa, finite e sprofondate purtroppo nelle sabbie mobili a causa di un peso che il regista e l’opera di turno non sono stati in grado di supportare e sopportare adeguatamente. De Paolo, a conti fatti, ne esce indenne, così come la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, ma con una serie di segni addosso. L’intricata matassa drammaturgica riversata nell’architettura dello script non riesce a riversarsi adeguatamente nei limiti temporali imposti dai trenta minuti di timeline. In effetti, le argomentazioni sollevate e le non poche dinamiche e implicazioni innescate, avrebbero avuto bisogno di uno spazio maggiore a disposizione per potersi e poter essere sviluppate. Qui si assiste a una compressione, a uno schiacciamento eccessivo di un insieme di fattori e one line che, per quanto ci riguarda, necessita di un racconto più esteso e di un respiro narrativo che solo un lungometraggio gli avrebbe potuto garantire. Dunque, il problema è alla radice del progetto stesso, con un plot e una serie di personaggi che per natura e necessità non sarebbero dovuti finire in un cortometraggio, ma in un’opera dal respiro più ampio che lavorasse su una distanza superiore a quella invece raggiunta. Ma questa non è una novità. Capita spesso di trovarsi al cospetto di short, non solo made in Italy, affetti dalla suddetta problematica. Poi ci sono registi che, al contrario, hanno saputo dosare molto bene gli ingredienti; rimanendo all’interno dei confini nostrani, dei recinti cronometrici del corto e del genere in questione, ossia lo Sci-Fi, il pensiero va alla coppia Fabio Resinaro e Fabio Guaglione, autori dei pluri-premiati E.D.E.N. e The Silver Rope, oppure un Lorenzo Sportiello che ha capito che il contenitore più adatto per la storia e i personaggi di Index Zero non poteva essere altro che quello del lungometraggio.
Ma al di là di questo, ben vengano progetti che provano ad alzare l’asticella e il grado di complessità, utilizzando il cinema di genere come veicolo per portare sullo schermo altro che non sia solo il tradizionale show pirotecnico fatto di navi spaziali, androidi, replicanti e super tecnologie aliene. I riferimenti, infatti, sono piuttosto alti e portano diritti a quel tipo di fantascienza che unisce le esigenze e le basi del suddetto genere con una serie di argomentazioni di un certo spessore, che toccano corde antropologiche, sociali, politiche e filosofiche. Ed è lo stesso regista a confermarcelo nelle note di regia che accompagnano e sintetizzano alla perfezione: “L’ombra di Caino si inserisce nella dialettica tra violenza e non violenza , proponendo così una riflessione su una reale costruzione di senso per il futuro. Pertanto, in un luogo e in un tempo dove la ricerca spasmodica di un benessere materiale acceca l’uomo, negandogli la possibilità di portare il proprio sguardo verso il futuro; si intende voler sviluppare un conflitto etico generazionale che pone gli adulti a confronto con ciò che, per definizione, potremmo definire la generazione del futuro: i bambini. Quindi, due età a confronto, due tempi a confronto: il presente e il futuro. Indagare il senso e le volontà di costruzione del futuro da parte delle generazione adulte, riportando la riflessione della costruzione del domani su basi etiche”. Leggere le seguenti note e ripensare a certe dinamiche messe in quadro da De Palo crea un filo diretto con l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Lucile Hadžihalilović dal titolo Evolution (vista alla 33esima edizione del Torino Film Festival, all’interno della sezione After Hours), dove oltre a una solida e riconoscibile base fantascientifica trovano spazio anche venature orrorifiche, drammatiche, mistery e poliziesche. Il regista pugliese, così come la collega franco-marocchina, è bravo a combinarle, dando origine a un corto che fa del mix di tensione latente e improvvise folate di violenza il proprio punto di forza, insieme a una confezione visiva di buona fattura, dove spiccano la fotografia di Valerio Coccoli, i costumi di Bianca Maria Gervasio e le scenografie di Francesco Arrivo.

Francesco Del Grosso

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