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Linda e il pollo

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VOTO: 8

La ricetta del cuore

Per la chiusura della seconda edizione, la direzione artistica di Castiglione del Cinema ha voluto offrire al suo pubblico la visione di uno migliori film d’animazione tra quelli prodotti nel Vecchio Continente nelle ultime stagioni. Si tratta di Linda e il pollo, co-produzione italo-francese scritta e diretta a quattro mani da Chiara Malta e Sébastien Laudenbach, transitata alla kermesse umbra dopo un percorso festivaliero di tutto rispetto che ha visto la pellicola scorrere sugli schermi di Cannes, Annecy e Torino, ottenendo anche importanti riconoscimenti come la candidatura agli European Film Awards e la vittoria ai premi César.
La pellicola, che ha la forma di una commedia animata musicale accompagnata per l’occasione dalle note avvolgenti e poetiche di Clément Ducol, ci porta al seguito di Linda, una bambina di pochi anni con una grande ossessione per l’anello di smeraldo di sua madre, che vorrebbe indossare a casa come a scuola. Ingoiato una mattina dal suo gatto viola, è accusata ingiustamente di averlo rubato e scambiato con un baschetto giallo. Linda non nega e si becca una bella punizione. Ma poi il gatto vomita l’anello con la verità e la mamma di Linda, Paulette, vuole farsi perdonare. In cambio la bambina esige “pollo e peperoni”, l’ultimo piatto che le ha cucinato il suo papà prima di morire, a tavola, improvvisamente, traumaticamente. Uno sciopero generale complica il desiderio di Linda ma Paulette è pronta a tutto per trovare quel pollo e cucinarlo come promesso. Del resto è risaputo quali tipi di disagi uno sciopero generale può causare in Francia, capace di paralizzare l’intero Paese per settimane. Ne sa qualcosa, cinematograficamente parlando, la protagonista di Full Time – Al cento per cento (À plein temps) di Éric Gravel, costretta a ricorrere a diversi stratagemmi per ovviare al blocco totale del trasporto pubblico e arrivare puntuale sul luogo di lavoro dopo avere compiuto ogni giorno un’impresa rocambolesca. Lo stesso tipo di impresa che Linda e sua madre, con la complicità degli abitanti di un quartiere, dovranno provare a portare a termine per reperire e cucinare l’ingrediente principale di una ricetta che è la chiave di un ricordo perduto.
Proprio la memoria è uno dei tanti temi che Malta e Laudenbach hanno voluto e saputo affrontare con grandissima attenzione, una bella dose di sano humour e senza scivolare mai nella morale di stampo disneyana. Nei 75 minuti a disposizione, Linda e il pollo si confronta per poi trasferire sullo schermo con una serie di tematiche universali e dal peso specifico rilevante, dando a tutte il giusto spazio e livello approfondimento: dall’elaborazione del lutto alla complessità dei rapporti tra madre e figlia e tra sorelle, dall’amicizia all’infanzia, dalla questione dell’autorità alla collettività delle case popolari, passando per il rimorso, l’erosione del potere d’acquisto, l’ingiustizia e i diritti degli animali. Il tutto penetra nella tessitura narrativa e drammaturgica di un racconto che sceglie, “giocando” con un mix di generi, la leggerezza e la semplicità per dire tante cose importanti e profonde, regalando sorrisi, spunti di riflessione e un bel carico di emozioni cangianti.
Per realizzare questa perla animata la regista romana e il collega parigino, che abbiamo conosciuto grazie ai lavori precedenti (Simple Women la prima e La jeune fille sans mains il secondo), hanno deciso di unire le forze e il risultato ha dato loro ragione. Da una parte abbiamo visto con quale finezza e intelligenza nel tocco e nell’approccio gli autori hanno affrontato argomenti molto seri e complessi, portandoli anche a un pubblico di giovanissimi, al quale spesso molte delle suddette tematiche vengono precluse. Non è dunque della stessa idea la coppia italo-francese che con Linda e il pollo non propone ai bambini dei mondi alternativi ed edulcorati, ma li immerge in quello reale con problemi reali (vedi la scelta di ambientare questa vicenda urbana sullo sfondo di uno sciopero generale) e popolato da adulti che non sono necessariamente dei supereroi. Ciò conferisce all’opera un forte senso di verità e al giovane fruitore un pieno diritto a una cittadinanza che gli viene spesso negata.
Tutto questo non poteva però trovare spazio in un tipo di animazione classica, motivo per cui gli autori, mantenendo il realismo delle tematiche come bussola, hanno puntato su uno stile completamente libero da necessità di verosimiglianza che consentisse allo stesso tempo di arrivare all’astrazione dai modelli e alla conseguente trasfigurazione. Ecco che sullo schermo si materializzano immagini con personaggi, oggetti e animali nonocromatici mai definiti nei contorni, lampeggiante, colorata, spesso improvvisata, che fa esplodere forme e colori per renderli malleabili. La tecnica sembra quella degli acquerelli, con degli schizzi che sembrano proprio quelli che realizzano i bambini sui fogli da disegno, anch’essi liberi di trasbordare ed evadere da linee rigide, schematiche e predefinite. Sta in questa convergenza e unione di scelte narrative, tematiche e formali la forza di questa opera.

Francesco Del Grosso

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