Non dimentichiamoci la voglia di sognare
Strasburgo novembre 1968 il Consiglio d’Europa si sta riunendo, ma la maggior parte di noi, che ancora non conosceva questa vicenda, non sa ancora qual è la ragione per cui lo stia facendo e grazie a L’incredibile storia dell’Isola delle Rose di Sydney Sibilia e al tipo di diffusione di Netflix (dal 9 dicembre il film può raggiungere oltre 190 Paesi) in molti scopriranno questa storia realmente avvenuta e riscopriranno cosa voglia dire sognare.
«Primavera 1968. Nell’anno della più tumultuosa e dirompente contestazione studentesca, un giovane ingegnere, Giorgio Rosa (un credibile Elio Germano) con un grande sogno e un sorprendente genio visionario decide di costruire un’Isola al largo di Rimini, fuori dalle acque territoriali» (dalla sinossi ufficiale). A sostenerlo in questa utopica avventura il migliore amico Maurizio Orlandini (ben interpretato da Leonardo Lidi, una scelta di casting da evidenziare, che va ad attingere ai talenti formatisi sul palcoscenico e, in questo caso, già con una identità artistica ben definita). L’Isola delle Rose è stata una micronazione, nome ufficiale ‘Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose’ e corrispondeva ad una piattaforma artificiale di 400 mq ideata e realizzata dal visionario ingegnere bolognese Giorgio Rosa nel mare Adriatico a 11.612 km al largo dalle acque di Rimini, a 550 mt fuori dalle acque territoriali.
Giorgio e Maurizio hanno questa idea perché il mondo che vivono (e lo specifichiamo: i moti del ‘68 sono ben lontani dalla loro testa) non gli piace ed è così che, grazie alla formazione ingegneristica unita a intuizioni non da tutti, comprendono come dare letteralmente corpo a un’isola nel mare di nessuno. «Un’Isola d’acciaio, un mondo a parte, in cui la libertà individuale è il valore assoluto in cui vale una sola regola: niente regole!».
In questa impresa – per i comuni mortali – impossibile (che subito comincia ad attrarre i frequentatori della riviera romagnola) si aggiungono: «un misterioso naufrago in cerca di approdo (Alberto Astorri), un animatore delle notti romagnole in cerca di una nuova vita (Tom Wlaschiha) e una ventenne romantica in cerca di lavoro (Violetta Zironi). E poi Gabriella (Matilda De Angelis) la donna appassionata che Giorgio trascina nella sua ambiziosa avventura e nella sua vita. L’Isola delle Rose attira ben presto l’interesse della stampa e soprattutto di frotte di ragazzi da mezzo mondo, trasformandosi in mito, in caso internazionale e in un quasi insormontabile problema politico per il Governo italiano che non può tollerare la fondazione di un nuovo Stato in acque così vicine». Ed è proprio qui che, ancora una volta, Sibilia e il suo team dimostrano una grande lungimiranza nello scegliere di rappresentare una storia che in pochi sanno (ma che valeva la pena di essere portata alla luce). Al contempo tocca due punti fondamentali muovendosi su due piani che il regista della saga Smetto quando voglio ben sa maneggiare: la leggerezza finalizzata all’utopia e le frecciate al nostro ‘sistema’ (qui rappresentato, nello specifico, dal presidente del Consiglio Leone interpretato da Luca Zingaretti e dal ministro degli Interni Restivo – un ottimo Fabrizio Bentivoglio) che arrivano ancora più profondamente proprio grazie al registro utilizzato.
«Perché un’utopia che diventa realtà non può che avere conseguenze imprevedibili, al di là di ogni immaginazione» e soprattutto diventa una minaccia per chi ci governa.
Prendiamo in prestito le parole della co-sceneggiatrice Francesca Manieri, la quale ha chiarito benissimo in conferenza stampa i punti chiave della filmografia di Sibilia (molto coerente): «Sydney ha una cifra autoriale molto forte che ha che fare con il rapporto tra l’individuo, la libertà individuale e il potere costituito – un tema che viene raccontato nel film da Gabriella nella scena in cui parla di diritto positivo e diritto naturale, di libertà negative e positive e del complesso rapporto tra queste due cose. Questa ‘indagine’ è un po’ quello che fa sempre per cui questa storia ci è sembrata adatta».
Il bello de L’incredibile storia de L’isola delle Rose è che sa essere una commedia, un film epico-storico, con agganci molto forti con l’attualità – espliciti e da far rintracciare a noi. «L’idea ambiziosissima di sviluppare L ’incredibile storia dell’Isola delle Rose risale a un incontro folgorante con Giorgio Rosa, l’ingegnere bolognese che io e Sydney abbiamo avuto l’onore di conoscere qualche anno fa, prima che venisse a mancare. Il racconto della sua meravigliosa impresa, fallimentare rispetto agli esiti, ma trionfante perché epica e politica, ci ha convinto fin dall’inizio sulle necessità etiche e civili della sua storia. Ce l’aveva fatta per un po’ di tempo, l’Isola delle rose era rimasta lì per 55 giorni a richiamare tutti quelli che credevano nella possibilità delle grandi imprese. Poi si scatenarono i giornali, e sull’Isola venne scritta ogni genere di assurdità: che si trattava di un casinò, di un locale, di un posto per il contrabbando, fino alla tesi complottista di un avamposto russo per la gestione dei sommergibili, o di una radio pirata. “Mi ritrovai decine di pilotine di capitaneria e carabinieri attorno alla piattaforma”, ci disse. “Avevano paura della libertà”», ha spiegato Matteo Rovere.
Il punto è proprio questo: il film così come i tre capitoli di Smetto quando voglio ci mostrano come il merito non sempre trovi spazio, menti brillanti si uniscono per cercare ‘altro’ e quando riescono ad ottenerlo e/o crearlo, chi è al potere costituito cerca di spezzare le ali.
«L’incontro con l’ingegnere, avvenuto anni fa, è stato il punto da cui sono partito per rivedere la vicenda al di là di quello che era stata, l’epopea di una guerra (forse l’unica) che l’Italia aveva vinto per fermare la mente libera di un uomo che non voleva fare altro che piantare una palafitta nell’acqua», ha aggiunto il regista utilizzando dei termini ben precisi e continuando «Nei ricordi di ciò che è avvenuto, Giorgio Rosa si è lasciato più volte sfuggire che l’assurdità di quella battaglia stava proprio nel fatto che non c’era alcuna intenzione di andare contro il sistema, che semplicemente quel tratto di mare era libero, e che lui voleva utilizzarlo per i suoi studi di Ingegneria applicata all’estrazione di energia. Quanto può un’idea essere pericolosa? E quanto c’è di comico, tragico ed epico insieme che per un’oasi di pace fondata così al largo si possa scomodare il governo italiano, la commissione europea, e le multinazionali private? Mentre Parigi è infiammata dalle lotte per rincorrere idee e ideali, Giorgio Rosa costruisce con le sue mani il suo mondo utopico al largo di Rimini. E ha un immediato, incredibile successo. Da tutta Europa ragazzi e ragazze accorrono per vedere il miracolo compiuto da un uomo semplice. Quello che ho voluto raccontare è la sua forza, il modo in cui una persona, armata dei propri sogni e della propria determinazione, ottiene pacificamente ciò per cui centinaia di migliaia di suoi coetanei combattono a chilometri e chilometri di distanza. […] La vicenda dell’Isola delle Rose è una metafora quando, in maniera discreta e silenziosa, una piccola illusione viene mandata in frantumi da una dimostrazione di forza da parte della politica. Ma non solo: è l’avvincente storia di una campagna di invasione lunga 55 giorni, che vide il Governo italiano contro un uomo solo, accusato di colpe insensate: fondazione di una radio pirata, contrabbando ed evasione fiscale, sfruttamento abusivo di risorse energetiche, atti osceni e perversione. Alla fine, gli si dichiarerà perfino guerra. Una guerra che la Repubblica Italiana ripudia, secondo la sua stessa Costituzione. Una guerra che non dovrebbe mai essere utilizzata come soluzione alle dispute internazionali. Eppure, all’Isola delle Rose fu dichiarata guerra. L’unica guerra di aggressione mai combattuta dalla Repubblica Italiana. Hanno tolto a Giorgio Rosa il suo sogno, dopo un assedio lungo ed estenuante, avvalendosi di tutte le forze in loro possesso».
Il lungometraggio dimostra tutto lo sforzo produttivo, ma lo fa con classe; con la stessa classe con cui si è scelto di mettere in scena questa storia, forse vorremmo tutti aver avuto (o avere) quel coraggio di inseguire utopie, piuttosto che farci sopraffare da cinismo e indifferenza.
«Bisogna pur correre dei rischi se si vuole cambiare il mondo» Giorgio Rosa/Elio Germano e questo lungometraggio, fuor di retorica, ci ricorda che quantomeno non dobbiamo dimenticarci quell’afflato.
Maria Lucia Tangorra