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Limbo

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VOTO: 7.5

Ferite dal passato

Indagare su un caso accaduto molti anni prima e mai risolto. Un’impresa, la presente, che, talvolta, può essere particolarmente ardua. Ne sa qualcosa il detective Travis Hurley (impersonato dal bravo Simon Baker), protagonista del lungometraggio Limbo, diretto dal cineasta australiano Ivan Sen e presentato in corsa per l’ambito Orso d’Oro alla 73° edizione del Festival di Berlino.

Il nostro detective, dunque, non è assolutamente un “eroe senza macchia”. Solito assumere costantemente eroina e alcool, egli si recherà nell’entroterra australiano presso il Motel Limbo, da lui considerato quasi una sorta di rifugio. Qui, tuttavia, l’uomo dovrà indagare sulla misteriosa sparizione – avvenuta vent’anni prima – di una ragazza aborigena. Alcune vecchie registrazioni sono le uniche prove a sua disposizione. La famiglia della ragazza, al contempo, sembra non voler più parlare dell’accaduto, anche se le conseguenze di quel drammatico evento sono ancora evidenti e riguardano in particolare i rapporti tra i membri della famiglia stessi. Allo stesso modo, il principale sospettato è ormai deceduto e suo fratello, incaricato di badare al cane del defunto, è alquanto reticente nel parlare con la polizia.
Questo interessante lungometraggio di Ivan Sen, dunque, si distingue immediatamente per un tanto raffinato quanto ruvido bianco e nero, che, insieme alla totale assenza di musiche, rende perfettamente l’idea dell’aridità del posto visitato dal protagonista. Aridità riguardante non soltanto il paesaggio in sé (a cui dedicheremo la dovuta attenzione a breve), ma anche gli abitanti del luogo, nessuno dei quali sembra più avere alcuna motivazione per andare avanti, a eccezione dei bambini, ancora profondamente curiosi nei confronti del mondo e ancora disperatamente desiderosi di bellezza (come dimostrano i dipinti di una delle nipotine della ragazza scomparsa).
Ivan Sen, dal canto suo, ha tracciato innanzitutto un vibrante affresco di una delle tante realtà che stanno a comporre il variegato continente. Una realtà in cui la diffidenza nei confronti del prossimo e il razzismo (anche soltanto parlare con un poliziotto bianco sembrerebbe rappresentare il male assoluto) sono all’ordine del giorno. Ed ecco che, finalmente, entra in gioco anche il paesaggio. In Limbo, il paesaggio – così bene rappresentato e valorizzato dalla macchina da presa di Sen grazie a importanti totali e suggestivi plongé che talvolta lo rendono simile a un dipinto astratto, viene trattato alla stregua di un vero e proprio protagonista. La luce all’esterno è quasi accecante. Le abitazioni di molti dei personaggi – così come lo stesso Motel Limbo – sono, al contrario, quasi immerse nell’oscurità, scavate nelle rocce e con un arredamento decisamente spartano.
Limbo si fa, dunque, non soltanto un raffinato thriller dall’andamento prevalentemente contemplativo, ma anche – e soprattutto – preziosa immagine di un mondo sconosciuto ai più. Di un mondo sicuramente difficile e spesso impietoso, ma anche incredibilmente magnetico e affascinante. Le immagini sul grande schermo parlano da sé.

Marina Pavido

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