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Life Is (Not) a Game

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VOTO: 7

Another “Trick” in the Wall

Reduce anche dalla calorosa accoglienza ala Festa del Cinema di Roma, qualche mese fa, l’attesissimo documentario di Antonio Valerio Spera proseguirà ora il suo tour nelle sale di tutta Italia, dopo che a dettare la marcia è stata comunque l’anteprima per la stampa e il pubblico svoltasi il 16 febbraio scorso a Roma, presso il Cinema Farnese. Un’occasione che siamo felici di aver afferrato al volo. Anche perché, assieme al regista, alla sceneggiatrice Daniela Ceselli e al produttore Alessandro Greco, era presente proprio lei, Laika: l’artista, attualmente in mostra presso la collettiva “Jago, Banksy, TVboy e altre storie controcorrente” di Palazzo Albergati, della quale tale film ha accompagnato i passi per oltre un anno, come fossero pagine di un diario.

Avere di fronte lei e gli autori ha assicurato un’emozione supplementare ai presenti. Dietro quella maschera che la protegge e in un certo senso la ispira, Laika pare celare un mondo, un pensiero, che va oltre la semplice provocazione (politica o estetica); e che si colora all’occorrenza di una sorniona ironia. Quella stessa ironia che traspare sovente nel documentario, allorché l’artista romana si lancia in trovate dal sapore situazionista o commenta con salace, pungente umorismo i fatti del giorno, appartengano essi al delirante periodo pandemico (durante il quale sono avvenute le riprese) o alle tante nefandezze proposte dalla scena politica italiana e internazionale.
L’ambito in cui si muove è quello della “street art“. Perciò vediamo Laika impegnata nei rituali di questa forma d’arte tendenzialmente precaria, soggetta cioè alla possibile (anzi, probabile) rimozione delle opere, impresse sui muri della capitale (e non solo, come si scoprirà nel corso del film). Perciò ecco i blitz notturni (resi ancora più temerari dalle ulteriori restrizioni alla libertà di movimento, imposte durante il lockdown), la sfida all’ipocrisia delle autorità egiziane posta in atto vicino alla loro ambasciata attraverso l’affissione dell’opera dedicata a Zaki e Regeni, le successive trasferte in Bosnia lungo la cosiddetta “rotta balcanica” o in Polonia al confine con l’Ucraina in guerra.

Intelligentemente la stessa Laika è intervenuta dopo la proiezione, al momento del Q&A, rimarcando in una risposta dal tono deciso la felicità per il fatto che tale documentario abbia reso in qualche modo immortale una simile attività artistica, destinata per sua stessa natura alla transitorietà. Riaffermando così una delle prerogative essenziali del cinema. Da attenti spettatori di Life Is (Not) a Game, possiamo confermare che Antonio Valerio Spera le ha reso davvero un bel servizio, riuscendo a cogliere sia il dato umano, caratteriale, che le implicazioni socio-politiche di una produzione artistica senz’altro originale. Qualche dubbio ci è rimasto incollato addosso, proprio riguardo alla struttura filmica, a quella architettura diegetica che ha preso forma imponendo un passo spigliato, rapsodico e intermittente nella prima parte, per assumere poi un timbro decisamente più riflessivo nella lunga parentesi bosniaca, incentrata sul disagio vissuto dai migranti della rotta balcanica. Qui la ritmica interna del film rischia francamente di impantanarsi. Ma accogliendo nuovi stimoli sul finale, Life Is (Not) a Game lascia comunque un’impressione di freschezza e genuinità. Un segno che rimane.

Stefano Coccia

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