La Rivoluzione c’è stata: lo dice l’elenco dei caduti
A fost sau n-a fost? C’è stata o non c’è stata, la Rivoluzione del dicembre ’89, si interrogava (e ci interrogava) con piglio sardonico già nel 2006 Corneliu Porumboiu, attraverso il film che ne avrebbe fatto conoscere il talento appena sbocciato anche al pubblico italiano, per quanto la sagace questione posta dal titolo originale risultasse banalmente annacquata nel poco brillante titolo italiano A est di Bucarest.
L’intento di Porumboiu non era ovviamente negare il bagno di sangue avvenuto, bensì allestire un teatrino dell’assurdo che, mettendo in discussione il ruolo avuto da ciascun rumeno in quei drammatici giorni, lasciasse intravvedere in filigrana e senza rinunciare a un umorismo acido, dalle tinte beffarde, i conti in sospeso con la Storia e le tante contraddizioni socio-politiche del dopo Ceauşescu. L’accertamento delle reali responsabilità e di come si svolsero veramente i fatti affiora, con una densità materica senz’altro maggiore trattandosi di un’impressionante ricostruzione cinematografica delle ultime ore del regime (impostata peraltro prevalentemente sugli scontri armati e sulla dura prigionia dei comunisti in divisa appena arrestati) nel film di Tudor Giurgiu presentato di recente al 35° Trieste Film Festival: Libertate (titolo internazionale Freedom, 2023).
Votato in genere alla commedia, dai toni comunque brillanti e dai temi popolari nella Romania post-rivoluzionaria, Tudor Giurgiu presta qui la propria sapienza nella messa in quadro e un’ottima direzione degli attori a un racconto tesissimo, crudo, sanguigno e a tratti persino tragicomico di ciò che avvenne a Sibiu, in Transilvania, durante quei feroci scontri che nell’89 accompagnarono la caduta del regime di Ceauşescu. Gente che poco prima stava dalla stessa parte pronta all’improvviso a spararsi addosso, gente arrestata per sbaglio e a rischio ora di essere giustiziata, gente passata in breve tempo dallo status di vittima dell’iniquo governo comunista a quello di carnefice. Maggiormente sottile, filosofico e caustico era stato, certo, Porumboiu, nell’alludere al caos di quei momenti. Anche Tudor Giurgiu però, da un punto di vista magari più asettico, concreto, diretto per quanto riguarda l’apparente assenza di filtri nella narrazione, instilla nello spettatore il sospetto che in tali frangenti a prevalere non sia stata la Ragione, una qualche forma di Logos pienamente consapevole, bensì un susseguirsi di eventi drammatici caratterizzati almeno in parte dall’agire del Caso, dall’opportunismo politico, da revanchismo personale e collettivo, dal comprensibile desiderio di salvare la pelle.
Per quanto la singola vicenda del Capitano di polizia Viorel rappresenti un precario epicentro narrativo, attorno a lui vediamo in azione altri gendarmi, manifestanti, uomini della Securitate, militari e passanti, impegnati a turno in una folle sarabanda comprendente cambi di alleanza, tentativi di chiarire la propria posizione, atti di giustizia sommaria. Tutto ciò mentre la notizia della cattura di Nicolae Ceaușescu assieme alla non meno odiata consorte e – soprattutto – quella del loro processo immediato, con conseguente fucilazione, giungono da un fuori campo altrettanto in divenire a certificare la fine di un mondo.
Si può quindi affermare che anche Tudor Giurgiu, attraverso la sua concitata e comunque lucida rappresentazione della rivolta, abbia proposto in Libertate l’efficace rappresentazione di un “caos creativo” in grado di generare a livello etico più interrogativi, più dubbi, più puntini di sospensione che certezze assolute e inscalfibili.
Stefano Coccia