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Liberaci dal male

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VOTO: 5

Devil at The Doors

Per una volta i titolisti italiani hanno visto giusto: in effetti Liberaci dal male rende assai meglio l’idea del film, decisamente incentrato sull’eterno conflitto tra fede religiosa ed entità diaboliche, rispetto all’originale Deliver Us from Evil, prestabile a varie interpretazioni. Le buone notizie, sfortunatamente si fermano qui. Perché il quarto lungometraggio per il cinema del solitamente più ispirato Scott Derrickson – non contando lo “straight to video” d’esordio Hellraiser 5: Inferno – delude in maniera piuttosto netta le aspettative di chi si illudeva di vedere l’opera più o meno “definitiva” del nuovo millennio sul sottogenere esorcistico.
Al limite non pareva neanche una cattiva idea aggiornare l’illustre modello – ci riferiamo ovviamente a L’esorcista di William Friedkin (1973) – alle nuove generazioni, iniettando nel corpus narrativo robuste dosi di poliziesco, thriller e persino action. Sarebbe però stata utile una sceneggiatura ben diversa da un banale accumulo di luoghi comuni sui vari generi utilizzati e troppo piena di strizzatine d’occhio ad un pubblico inesorabilmente under sedici anni ad essere persino ottimisti. In Liberaci dal male tutta l’inquietudine del classico primigenio viene terremotata giusto dopo una mezz’ora di film, quando – dopo un prologo ambientato durante il recente conflitto iracheno che illustra il misterioso incontro tra un gruppo di tre marines statunitensi e il demone di prammatica, dichiarato omaggio per affinità geografiche al capolavoro di Friedkin – risulta ben chiaro pure allo spettatore meno smaliziato che la contiguità tra religione cattolica e Maligno è definitivamente evaporata in favore di un più didascalico match senza quartiere bene versus male. Se ne L’esorcista, al di là della possessione della giovane Regan/Linda Blair, era concettualmente evidente come nessuna delle due “componenti” in lotta potesse fare a meno dell’altra, pena la propria sopravvivenza nella credenza popolare, in Liberaci dal male gli autori dello script – lo stesso Derrickson e Paul Harris Boardman – ripiegano su una struttura narrativa che pare semplicemente un bignamino del sottogenere in questione. Moltiplicando le possessioni il prodotto non cambia, anzi si indebolisce nella tensione; e non bastano davvero la bava alla bocca o le solite scritte in latino sui corpi dei posseduti – i quali peraltro in pieno furore indotto da Satana declamano a memoria i testi delle canzoni dei Doors (ebbene sì!) – per creare qualche brivido nella platea. La quale in compenso deve sorbirsi le lunghe parentesi investigative del sergente della polizia di New York Eric Bana, un prete esorcista (Edgar Ramirez) giovane e cool poiché dedito a Bacco, Tabacco e Venere (in ordine però inverso) e persino una incredibile sequenza di combattimento a colpi di coltello tra un poliziotto e il posseduto numero uno talmente illogica che pare presa ed inserita a forza da un film d’azione orientale, così per gasare meglio il pubblico giovane.
A dare poi il definitivo colpo di grazia al film provvedono un finale con la seduta esorcistica – tra l’altro didascalicamente enunciata fase per fase dal giovane religioso coinvolto – più lunga della storia del cinema, che non ci risparmia nessuno dei soliti cliché risultando anche per questo oltremodo noiosa ed un epilogo in cui, senza spoilerare troppo, sarebbe mancata solo la presenza del redivivo Leslie Nielsen per catapultare Liberaci dal male a livello di uno Scary Movie qualsiasi, cioè con il germe dell’auto-parodia in agguato.
Insomma, per tirare le somme, da un regista che quasi veniva voglia di definire autore in materia, dopo l’angoscia sparsa a piene mani ne L’esorcismo di Emily Rose – a confronto di Liberaci dal male uno studio quasi entomologico sul fenomeno; e dire che entrambe le pellicole risultano tratte da storie vere… – e in Sinister, altra felice illustrazione visiva di un incontro ravvicinato con un demone assai poco conciliante, ci si sarebbe atteso un prodotto in grado di scandagliare in profondità ancora maggiore un animo umano sempre sensibile e volubile al richiamo diabolico. Invece niente di tutto questo, ma solamente un indigeribile poltiglia capace di mostrare il lato più deteriore del cinema cosiddetto post-postmoderno, quello che per accontentare tutti finisce con lo scontentare molti. A dirla tutta dinamica molto frequente nelle produzioni firmate – ed è anche questo il caso – Jerry Bruckheimer.
Sarà (forse) per la prossima volta…

Daniele De Angelis

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