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L’accusa

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VOTO: 7.5

Colpevole o innocente?

Il movimento del #MeToo è qualcosa che, in tempi recenti, ha fatto discutere molto. Perché, di fatto, se è vero che per molto tempo le violenze sulle donne non sono state punite e riconosciute come avrebbero meritato, dall’altro canto è anche vero che, in alcuni casi, non si sa mai dove si situi il confine tra violenza vera e propria e rapporto consensuale. Soprattutto quando diverse versioni dei fatti confondono. Soprattutto quando si è un giudice incaricato di emettere una sentenza. Ma come potremmo reagire noi stessi se dovessimo trovarci nella situazione di dover decidere chi sta dalla parte della ragione e chi no? A farci osservare la realtà da questa singolare prospettiva ha pensato il regista Yvan Attal con il suo lungometraggio Les choses humaines (per l’uscita italiana L’accusa), tratto dall’omonimo romanzo di Karine Tuil e presentato Fuori Concorso alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Alexandre ha ventidue anni, studia negli Stati Uniti ed è il figlio di Jean Farel, noto conduttore radiofonico, e di Claire Farel, brillante saggista. Durante una vacanza a Parigi al fine di trascorrere un po’ di tempo con la propria famiglia, il ragazzo farà la conoscenza di Mila, diciassette anni, la figlia del nuovo compagno di sua madre. Una sera il ragazzo la inviterà a una festa. Tutto sembra essere andato per il meglio, finché, inaspettatamente, la mattina seguente Alexandre verrà arrestato con l’accusa di stupro da parte di Mila stessa. Quale sarà la verità dei fatti?
Les choses humaines si distingue principalmente per un eccellente lavoro di scrittura. Il regista, dal canto suo, ben sa gestire i vari personaggi della storia e le loro versioni dei fatti, al punto che è lo spettatore stesso a sentirsi disorientato, a non sapere dire con certezza dove si situi il confine tra giusto e sbagliato, a prendere le parti prima di uno, poi dell’altro protagonista. Diviso in tre distinte sezioni (Lui, Lei e Le Arringhe), questo importante lungometraggio tratta, in realtà, un discorso ben più ampio.
Non soltanto i recenti fenomeni mediatici, ma anche – e soprattutto – il ruolo della società, dei social media e delle famiglie si fanno immediatamente attori principali. I ritmi sono serrati, l’intimo dei protagonisti viene fuori prepotente e in modo doloroso. Nessuno è realmente privo di macchia. E persino il regista non può – e non vuole – ergersi a giudice e stabilire chi abbia ragione. La realtà che ci viene mostrata è molto più sottile e complessa di quanto possa inizialmente sembrare.
Ciò che maggiormente colpisce di un lungometraggio come Les choses humaines, tuttavia, è la totale assenza di retorica. Uno sguardo lucido e attento che rivela umanità e intelligenza e che riesce a coniugare tutti questi elementi in un’opera importante dal punto di vista sia formale che contenutistico. Un lungometraggio che si fa forte anche di un ottimo cast in grado di sostenere i ritmi e la tensione dall’inizio alla fine. Cosa, questa, mai del tutto scontata.

Marina Pavido

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