Sbatti il mostro in prima pagina
Quanto può essere forte, al giorno d’oggi, il potere dei mass media? Cosa si può arrivare a fare, pur di fare carriera? Sono questi i principali interrogativi a cui cerca di dare una risposta il giovane regista Cristiano Anania in L’Eroe, sua opera prima che, analogamente a quanto fatto nel 1972 da Marco Bellocchio nel suo Sbatti il mostro in prima pagina, mette in scena il forte legame che unisce la stampa e le forze dell’ordine, cavalcando l’attuale ondata delle numerose fake news che ogni giorno impazzano sul web, pur tenendo paradossalmente (e volutamente) fuori dal discorso il web stesso.
Con tali premesse, dunque, prende il via la storia di Giorgio (Salvatore Esposito), giornalista trentenne desideroso di fare carriera, ma che viene mandato dal proprio capo presso la sede di un piccolo quotidiano in un paesino del centro Italia. Qui il ragazzo fa la conoscenza di Marta (Marta Gastini), giovane laureanda che gli chiede aiuto per la tesi e con la quale inizia ben presto una storia d’amore. La ragazza è molto legata, sin dall’infanzia, a Francesco (Vincenzo Nemolato), nato con una sorta di ritardo mentale. Nel momento in cui il nipotino di una nota imprenditrice del posto verrà rapito, sarà anche compito di Giorgio tentare di far luce sul caso. E, al fine di ottenere importanti meriti, sarà disposto veramente a tutto.
L’idea, dunque, di trattare un tema così spinoso e così tristemente attuale è probabilmente il maggior punto di forza di un lavoro come L’Eroe. Un lavoro, il presente, che, malgrado la scarsa esperienza del regista dietro la macchina da presa, vanta indubbiamente parecchi spunti di interesse. Primo fra tutti: la scelta di rendere il tutto il più realistico possibile, grazie a un riuscito lavoro di sottrazione che sta a conferire al lungometraggio un tocco che può situarsi a metà strada tra il documentario e il film a soggetto e che attinge a piene mani da quanto a suo tempo Cesare Zavattini aveva teorizzato. Un approccio registico, questo, che indubbiamente funziona, la cui potenza, però, viene irrimediabilmente smorzata da un ingombrante – e decisamente poco pertinente – commento musicale, presente anche quando il momento richiederebbe un tanto rispettoso quanto gradito silenzio.
Il problema principale di un prodotto come L’Eroe, tuttavia, è un altro. Se, infatti, i temi trattati erano già a loro tempo stati rappresentati magistralmente da Marco Bellocchio, sarebbe stato interessante vedere in che modo è cambiato, al giorno d’oggi, il funzionamento dei media stessi e i loro nuovi canali di diffusione. Eppure, tal cosa viene saltata a pie’ pari dall’autore, dal momento che la storia messa in scena sembra collocata in un periodo non ben definito e potrebbe svolgersi oggi come dieci, venti, persino trenta anni fa. Non è presente alcuna traccia, qui, di telefoni cellulari, così come di computer. Al contrario, i giornali cartacei sono più che mai oggetti di uso comune. Indubbiamente, l’autore ha avuto in mente di raccontare i fatti come degli avvenimenti universali. Eppure, una collocazione in epoca contemporanea sarebbe stata interessante, anche per poter in qualche modo confrontare il presente lavoro con il sopracitato lungometraggio di Bellocchio. Ma questa, ovviamente, è un’altra storia.
Marina Pavido