Storie dal Banco dei pegni
Si vorrebbe – e forse si dovrebbe, visti i tempi – sempre elogiare senza riserve opere come Le ultime cose, esordio nel lungometraggio della giovane (classe 1986) documentarista Irene Dionisio, cresciuta alla scuola di Daniele Segre e Marco Bellocchio. Perché la giovane cineasta possiede il coraggio, ormai purtroppo raro, di volgere il proprio sguardo cinematografico verso gli ultimi, quella parte di società non marginale ma deliberatamente emarginata sia dalle cronache che a maggior ragione dalla classe politica, in quanto non fa “audience” e, contemporaneamente, danneggia l’immagine ottimistica che viene propagandata dal Potere di turno. Cioè l’Italia nascosta costretta a barcamenarsi come può nella situazione che si è venuta a creare e che non la vede, se non in minima parte, colpevole.
Il Banco dei pegni di Torino funge da epicentro narrativo de Le ultime cose, titolo fortemente evocativo che indica un punto di non ritorno verso la povertà sia fisica che morale, per raccontare varie storie umane le quali, alternativamente, possono intrecciarsi oppure proseguire per proprio conto, con la spada di Damocle del Destino sempre però in agguato. Non è quindi affatto casuale che i momenti migliori del primo lungometraggio di finzione della Dionisio si verifichino quando l’occhio della cinepresa assume una posizione “passiva”, protesa ad osservare e ascoltare le difficoltà economiche di persone che varcano la fatidica soglia dell’istituto. Con, ovviamente, l’inevitabile comparire del sottobosco di speculatori – leggasi strozzini in ambito privato che in determinati casi intervengono a “sostituire” un modello di usura perfettamente legalizzato – a tentare di sfruttare le debolezze altrui. Perfettamente a proprio agio nella descrizione di fatti e situazioni, la sceneggiatura della giovane cineasta incontra qualche ostacolo nel momento in cui si tratta di fornire uno spessore tridimensionale a buona parte dei personaggi che vanno a comporre tale quadro. Troppo idealista lo Stefano interpretato dal giovane Fabrizio Falco, a simbolizzare la purezza della gioventù costretta a fare i conti con l’implacabile ingranaggio corrotto dell’istituzione; troppo vaga e misteriosa la figura di Sandra (Christina Rosamilla), il cui rapporto con Stefano rimane in un’indeterminatezza che distoglie un po’ l’attenzione dal nucleo del racconto. Maggiormente efficace invece il Sergio che muove le fila del Banco dei pegni, al quale dà corpo un ispirato Roberto De Francesco. Ulteriore testimonianza di come, nel cinema italiano attuale non involgarito dalla commedia a tutti i costi, riesca molto più semplice dipingere personaggi negativi che non il contrario. Chissà per quale motivo, verrebbe spontaneo chiedersi…
Selezionato nell’ambito della Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 2016, Le ultime cose è dunque un’opera imperfetta ma certamente meritevole di visione. Anche perché le ottime intenzioni di partenza coincidono abbastanza spesso con l’alto grado di drammaticità che si intendeva raggiungere – la parabola esistenziale dell’anziano Michele/Alfonso Santagata costituisce un buon esempio per comprendere meglio il cuore pulsante del film – e, se anche viene a mancare la perfezione della coralità del racconto, auspichiamo che alla giovane Dionisio venga lasciato il tempo per prendere nuove misure nel racconto di finzione e di conseguenza esprimersi in modo maggiormente compiuto: il suo cinema fatto di coerenza e perciò poco alla moda merita questa e parecchie altre occasioni in futuro.
Daniele De Angelis