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Le mie ragazze di carta

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VOTO: 6,5

Grandi cambiamenti in vista

Per conoscere la genesi della nuova fatica dietro la macchina da presa di Luca Lucini dal titolo Le mie ragazze di carta, presentata in anteprima mondiale alla 14esima edizione del Bif&st nella sezione “ItaliaFilmFest”, bisogna riavvolgere le lancette e tornare a un ventennio fa, a quando il regista milanese muoveva i primi passi nel mondo della Settima Arte. Al suo fianco allora e per gli anni a seguire c’era e c’è stato il compianto sceneggiatore Mauro Spinelli. Fu proprio lui a dare forma e sostanza una storia scritta da Lucini, una storia vera del suo passato, la storia di un cinema davanti a casa sua nel quale ad un tratto non poteva più entrare, senza capire il perché. Spinelli prese in consegna quell’idea allo stato embrionale, trasformandola nella sceneggiatura (vincitrice nel 2007 del Premio Solinas) che, spostando l’azione da Milano a Treviso e con l’inserimento dell’epopea di una famiglia che dalla campagna si trasferisce nella “metropoli”, è diventata le fondamenta sulle quali lo stesso Lucini, con Marta e Ilaria Storti, hanno forgiato il film.
Da quella prima stesura ad oggi, tanta acqua è passata sotto i ponti con il cineasta lombardo che nel frattempo ha realizzato diversi lungometraggi per il grande schermo, molti dei quali focalizzati sugli stessi temi trattati in Le mie ragazze di carta, divenuti centrali nella sua filmografia, vale a dire la crescita, il cambiamento e i legami affettivi, biologici e non. Da Tre metri sopra il cielo a Io e mio fratello, passando per Solo un padre e Come diventare grandi nonostante i genitori, le suddette tematiche sono state ampiamente sviscerate e declinate da Lucini, ma evidentemente non abbastanza da considerarle un capitolo chiuso. E allora quale occasione migliore per farlo se non ritirare fuori dal cassetto quella storia scritta decenni fa, che non aspettava altro che diventare un film e che aveva nel DNA narrativo e drammaturgico proprio quelle tematiche. Siamo alla fine degli anni Settanta, nel trevigiano, in un periodo in cui la rapida espansione delle città investe anche la famiglia Bottacin, composta da Primo, Anna e Tiberio. Per loro, e in particolare per il giovane Tiberio, il cambiamento dalla vita contadina a un contesto urbano sarà piuttosto tumultuoso. Il tutto calato e contestualizzato in un periodo storico di grandi trasformazioni sociali ed economiche, in cui anche le sale cinematografiche, luoghi tipici di fruizione comunitaria, dovettero ripiegare verso una programmazione a luci rosse per evitare il fallimento. Entrambe le trasformazioni, quella della famiglia Bottacin e del macrocosmo che la circonda, vanno di pari passo finendo per entrare inevitabilmente in rotta di collisione.
Questi cambiamenti topografici e sociali, insieme al passaggio dalla pubertà alla preadolescenza vissuto dal protagonista tra primi amori e partite di rugby, rappresenta il tessuto narrativo del tradizionale romanzo di formazione, nonché baricentro di un racconto semplice e lineare che attinge e segue alla lettera i dettami della letteratura di riferimento. Da questo punto di vista, Le mie ragazze di carta segue una strada classica, tutta in discesa e spianata, che non presenta grandi difficoltà. Una strada battuta da Lucini e dai suoi compagni di scrittura con il codice universale della commedia. Il ché ha facilitato ulteriormente il compito, quel tanto da permettere a coloro che lo hanno pensato e tradotto in immagini di scivolare sul velluto e confezionare un film dai toni leggeri, che strappa più di un sorriso anche grazie alle perfomance degli attori (tra cui Maya Sansa, Andrea Pennacchi e il promettente Alvise Marascalchi) e ai buoni tempi comici con i quali il regista meneghino condisce molte delle scene chiave.

Francesco Del Grosso

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