Il film sfogliato
A Cannes 2018 grande protagonista è Jean-Luc Godard che presenta in Concorso Le livre d’image. Il libro delle immagini è il cinema, l’arte centrale del Ventesimo Secolo. Il libro delle immagini viene associato/contrapposto da Godard alle religioni del libro, al libro come dogma, cardine di una concezione del pensiero. Le livre d’image è un film sfogliato, che funziona come un flusso di coscienza di storie/a di cinema, commentate da Godard stesso, e in alcuni brani dalla moglie Anne-Marie Miéville. Una trafila di spezzoni di film, frammista ad altre immagini, di repertorio o di altra natura. La corrispondenza con la parola scritta si incarna nel libro, filmato, “Images en paroles” di Miéville – che, ricordiamo, aveva realizzato il cortometraggio abbinato a Je vous salue, Marie dal titolo Le livre de Marie – una raccolta di cortometraggi in scrittura, dove si propone di filmare con le parole.
Se il libro delle immagini caratterizza l’arte del Novecento, questo secolo è rappresentato da Godard come un crocevia. Cosa succede “quando un secolo dissolve in un altro secolo”, si chiede il regista in una visione entropica che ha come destinazione obbligata il collasso. E Le livre d’image inserisce all’inizio, nel flusso caleidoscopico, figure di opere pittoriche, immagini non in movimento, per arrivare a una consistenza dell’immagine sempre più precaria, instabile, prossima alla decomposizione, quella del formato elettronico e poi, e siamo approdati al Ventunesimo Secolo, quella digitale pronta a frammentarsi, a disintegrarsi in pixel. L’anziano regista della Nouvelle Vague è stato tra i primi, con Film Socialisme a mettere in scena la consistenza friabile dei film in digitale, mentre già in Notre musique il film teorico, il campo/controcampo, si collegava a un collasso della civiltà nell’assedio di Sarajevo. Qui la decadenza della civiltà si incarna nei rapporti con il mondo arabo che Godard mette in scena citando il romanzo Une ambition dans le désert di Albert Cossery.
Le livre d’image comincia con una moviola, strumento ormai obsoleto, e si sofferma sulla consistenza materica della pellicola, che era propria del cinema. La stessa immagine della pellicola viene poi riproposta con dei viraggi di colore, tutto si può sovrascrivere secondo un processo artistico che dal cinema muto passa per Andy Warhol. E il fotogramma simbolo di Le livre d’image ne rappresenta il titolo scritto con vernice, “Le livre d'” in rosso, “image” in bianco, come un rimando a opere di Stan Brakhage, direttamente incise, dipinte sulla pellicola, ancora alla matericità della stessa e della vernice, e ancora un richiamo alla pittura, all’arte figurativa più antica e primitiva, non in movimento. E una regressione in questo senso si ha in alcune sequenze rallentate, come per L’ultima risata di Murnau o L’Atalante o Freaks, tendenti al blocco dell’immagine, a cristallizzare ogni singolo fotogramma come opera d’arte, fotografica, a sé.
Cinque dita fanno una mano, dice Godard, una sequenza di scene fanno un film. É il montaggio la “nostra musica” di Le livre d’image, come già enunciato dalla moviola iniziale. É il montaggio l’atto morale, non può essere ovviamente in questo caso la macchina da presa in un film di footage preesistente. Ma uno dei segmenti del film è intitolato proprio al baziniano montaggio proibito, con il titolo scritto su un fotogramma di un cartoon, mentre il capitolo successivo è “La regione centrale” che potrebbe essere un richiamo all’opera di Michael Snow tutta in pianosequenza. “Metti la realtà nella realtà“, il cinema è ancora il controcampo, o il campo, della realtà, oppure il suo remake: alla visione di un fungo atomico, la più grande tragedia del Novecento, Godard abbina l’esplosione atomica finale di Un bacio e una pistola. Oppure alterna scene di due film, come Freaks e un film erotico, facendole interagire nella forma del campo/controcampo. Tutt’altro che un dizionario sul cinema, le sequenze scelte da Godard vengono sì da grandi capolavori della settima arte, ma sono scelte con un arbitrio che sembra illogico, castrante. Tante sequenze finiscono in un nero o sul più bello, a partire, altra enunciazione, dal famoso taglio dell’occhio di Un chien andalou, collocato all’inizio di Le livre d’image, un taglio che però viene tagliato un istante prima. Castrante è anche interrompere uno dei più bei pianisequenza in carrellata laterale di Mizoguchi, nel film I racconti della luna pallida d’agosto.
Si diceva dell’estremo relativismo della consistenza delle immagini. Scene di grandi classici sono proposte nella versione televisiva, con la definizione della videocassetta o in quella a pixel, e abbiamo un continuo sfarfallamento del formato, della ratio e del mascherino, di queste scene. Soluzione resa possibile ora, in una proiezione in sala, proprio grazie alla tecnologia digitale. E oltre a ciò abbiamo anche spezzoni di film in bianco e nero che sono stati ricolorati e, in questo senso, Godard sceglie proprio la scena del luna park di I 400 colpi: un dileggio affettuoso allo storico collega/rivale? Nel flusso di immagini anche scene della televisione dell’Isis: nel Ventunesimo secolo tutto si mescola, le immagini non possono distinguersi per un segno positivo o negativo, possono anche mischiarsi e sovrapporsi. “L’armonia produce melodie, ma, d’altra parte, le melodie producono disaccordi“. E così Le livre d’image finisce con una scena di Il piacere di Max Ophüls, una scena musical senza musica, dove il danzatore capitombola, l’armonia degenera in dissonanza.
Giampiero Raganelli