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Le ereditiere

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VOTO: 7

Nobili decadute

Per comprendere veramente quanto difficile sia diventato negli anni mettere insieme le finanze necessarie a produrre un’opera prima, in particolare quando alla base c’è una forte impronta autoriale e una scarsa propensione all’intrattenimento popolare a buon mercato, è sufficiente andare a scorrere con gli occhi i credits di un film come Le ereditiere, esordio sulla lunga distanza di Marcelo Martinessi, che dopo i consensi e i premi raccolti alla Berlinale 2018 (tra cui l’Orso d’Argento per la Miglior Attrice ad Ana Brun) e nel circuito festivaliero internazionale approda nelle sale nostrane con Lucky Red a partire dal 18 ottobre. Produttivamente parlando, infatti, la pellicola del cineasta paraguayano è un’autentica babele, che ha raccolto al suo interno contributi economici e finanziamenti provenienti da diverse nazioni del Vecchio Continente (tra cui anche l’Italia con il Torino Film Lab) e del Sud America. Insomma, per dare vita a quanto ora può fluire sul grande schermo c’è voluto un viaggio di migliaia di km, ma ne è valsa la pena.
Le ereditiere è la storia di due donne sulla sessantina, Chela e Chiquita, entrambe discendenti della borghesia coloniale decaduta di Asunción. Dopo essere state insieme per trent’anni, devono separarsi a causa di una deleteria situazione finanziaria. Per via di un debito da saldare, infatti, sono costrette a vendere i loro beni e Chiquita finisce in carcere. Ritrovatasi da sola, Chela deve affrontare una nuova realtà, nonché cambiare il suo vecchio stile di vita. Riprende a guidare dopo anni di stop e inizia a lavorare come tassista per un gruppo di anziane signore benestanti. Nella sua nuova routine un giorno entra anche la giovane Angy, con cui Chela stabilirà un legame che la porterà ad aprirsi al mondo e a intraprendere una rivoluzione personale.
La pellicola del regista paraguayano parla di temi universali come l’importanza dei legami affettivi, della crisi imperante e dello scorre inesorabile del tempo, ma anche del desiderio fisico ed emotivo di rinascere dopo un lungo letargo della carne, della mente e dell’anima. Per farlo, l’autore passa per una scrittura che mescola piani di lettura e minimalismo. Non cerca l’effetto, ma punta sulle parole e i silenzi per restituire il lento rifiorire di un’esistenza schiava del passato, dei ricordi e del vorrei ma non posso più. Mano a mano la casa dove abita la protagonista si va svuotando dei cimeli e dei preziosi dei bei tempi che furono, mentre lei al contrario torna a riempire le proprie giornate uscendo di casa e percorrendo km con l’auto d’epoca. Un rapporto indirettamente proporzionale, questo, che serve alla scrittura quanto alla sua messa in quadro per dare forma e sostanza all’opera.
Martinessi firma un film di grande eleganza formale, specchio delle condizioni di vita delle protagoniste, dei loro profili caratteriali e degli ambienti che fanno da cornice alle vicende narrate. La macchina da presa e lo sguardo del cineasta cercano e trovano la simbiosi perfetta con quanto narrato, mettendo sempre al centro i personaggi e la loro lenta evoluzione interna, a cominciare da quella di Chela, qui interpretata da una straordinaria Ana Brun, non a caso premiata alla kermesse berlinese.

Francesco Del Grosso

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