Home Festival Altri festival Le daim

Le daim

216
0
VOTO: 6

Vestire il daino

Il titolo della pellicola fornisce un ottimo spunto ironico per definire lestamente la trama della vicenda, e cioè che la storia è morbida ed elastica proprio come la pelle di un daino. Altrettanto, però, non si può dire che sia stata finemente trattata, benché tutto sommato risulti di discreta qualità e di buona tenuta. Le daim (tradotto internazionalmente come Deerskin, cioè “pelle di daino”), presentato al festival #Cineuropa33, è una di quelle piacevoli sorprese che si rivelano al tatto visivo, essendo una discreta storia che funziona sia a livello di narrazione e sia nella messa in scena. Senza eccedere in arzigogoli artistici e autoriali, come spesso accade ad artisti provenienti da altri ambiti che decidono di dedicarsi anche alla Settima Arte, il francese Quentin Dupieux si è mantenuto sul minimale (pochi attori, una manciata di ambienti solitari), sapendo intrecciare bene, a livello di sceneggiatura, i differenti generi cinematografici da cui attinge per poi con distensione concretizzarli in scene calate in una realtà concreta (che lentamente diviene evanescente).

Quentin Dupieux, nato nel 1974 a Parigi, è molto più noto con il nome d’arte di Mr. Oizo, e dalla fine degli anni Novanta è uno dei più rinomati musicisti e produttori discografici francesi a livello europeo. Ad esempio, è sua l’ipnotizzante canzone elettronica Flat Beat, lanciata come leitmotiv in una celebre pubblicità della Levi’s con protagonista il mitico pupazzo Flat Beat (per la precisione era l’Anno Domini 1999). Ed è stato realizzato dallo stesso Dupieux l’omonimo videoclip per promuovere in formato normale la sua hit musicale (con protagonista sempre il bizzarro pupazzo giallo). Da quello stravagante esordio come regista – in un certo qual modo divenuto leggendario – sono passati ben vent’anni, ma già quel cortometraggio musicale annunciava il suo gusto per i toni spiccatamente grotteschi. Quando decise di cimentarsi anche con la regia cinematografica (senza lasciare l’ambiente musicale), prima provò con il mediometraggio sperimentale Nonfilm (2001), e successivamente, nel 2007, con il lungometraggio Steak, una commedia con sprazzi di commistione di fantascienza. Rubber (2010) e Wrong (2012), due sue pellicole che a loro modo sono considerate dei cult, non sono facilmente incasellabili in un genere, come lo stesso Le daim, al momento sua ultima regia, che comincia come una vicenda esistenziale, prende la forma di una commedia, si tramuta poi in “horror” e infine termina, per il beffardo finale, come una storia grottesca (un poco alla Buñuel). Differenti cadenze armoniche che, però, non fanno sbalzare la trama, che anzi rimane sempre sul medesimo ritmo quieto. Riguardo al protagonista, che è un individuo anonimo, non sappiamo se provare simpatia o ribrezzo per quello che comincia a fare. Non sappiamo praticamente nulla del suo passato (ha abbandonato la moglie? È stato cacciato da lei?), e il suo nome viene pronunciato solo all’inizio. Quello che intendiamo, benché non ci venga assolutamente spiegato il perché, è la sua maniacale fissazione per la pelle di daino, che cerca con ossessione – quasi erotica – di vestire, comprando tutti i differenti tipi di abbigliamento realizzati con quel dolce tipo di pellame. La parabola di questo mediocre individuo è una vera discesa verso la follia, che rimane incompleta per il grottesco finale che lo aspetta.

Roberto Baldassarre

Articolo precedenteNoir in Festival 2019: presentazione
Articolo successivoIntrigo: Death of an Author

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

13 − due =