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Last Summer

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VOTO: 6.5

La barca va

Film decisamente a rischio, questo Last Summer, almeno per un paio di motivi. Il primo è che si tratta di una produzione italiana, con tutti gli annessi e connessi del caso, peraltro affidata a un giovane regista esordiente – Leonardo Guerra Seràgnoli – nel lungometraggio dopo una serie di apprezzati corti. Il secondo fattore di incertezza era dovuto al fatto che Last Summer è un’opera priva di un’autentica evoluzione narrativa, basata essenzialmente sul non detto e sulle emozioni provate dai personaggi sulla scena. Un film, insomma, poggiato su equilibri piuttosto precari, dove qualsiasi sbandamento di una delle varie componenti avrebbe potuto farlo deragliare in maniera definitiva.
La trama è ridotta all’osso. Una giovane donna giapponese, s’intuisce personalità di una certa fama e relativa superbia, è solita trascorrere un periodo di vacanza estiva a bordo di uno yacht. Stavolta però le farà compagnia il figlioletto di sei anni Ken, da lei mai veramente frequentato e conosciuto poiché affidato dalla nascita alla ricca famiglia paterna. Il viaggio, della durata “legale” già stabilita in quattro giorni, sarà l’ultima occasione per costruire un rapporto. Come si potrà notare Last Summer è un film di atmosfere sottili, dove circola – almeno per tre quarti di durata – una vaga minaccia di tragedia incombente. Un film che si potrebbe definire “polanskiano”, per le continue schermaglie psicologiche tra personaggi, pur senza la ferocia pessimistica del regista de Il pianista; Naomi – ben interpretata da Rinko Kikuchi che ricordiamo giovanissima in Babel (2006) di Alejandro González Iñárritu – deve lottare dapprincipio con l’esplicita ostilità di un equipaggio che ha avuto chiare disposizioni da padre e nonno del bambino. Quindi con la comprensibile diffidenza del figlio nei propri confronti e soprattutto con i suoi demoni personali, gli stessi che l’hanno condotta lontano da una maternità inizialmente così traumatica da venir rifiutata. Il cuore pulsante di Last Summer è alla fine questo: un ostico percorso che conduca alla ricostruzione – o rinascita, che dir si voglia – di se stessi per poter poi costruire un rapporto con un altro essere umano. A Leonardo Guerra Seràgnoli va riconosciuto il merito di aver saputo orchestrare un film quasi coreografico nella sua messa in scena in uno spazio ristretto come quello di una barca di medie dimensioni: sguardi che si cercano, corpi che s’imbattono in altri corpi in modo quasi casuale e non intenzionale, spesso mossi da un sentimento di rancore per un contesto che si sarebbe voluto del tutto differente. E anche se le performance attoriali, Kikuchi a parte, non sempre risultano omogenee nonché perfettamente funzionali allo scopo e la sceneggiatura – scritta a quattro mani dallo stesso Seràgnoli e dall’autore di graphic novel IgorT, con la collaborazione della celebre scrittrice nipponica Banana Yoshimoto – manca di quel colpo d’ala che avrebbe fatto di Last Summer un film da ricordare, alla fine resta la sensazione positiva di una storia narrata con sensibilità e partecipazione emotiva, dove l’iniziale percezione di freddo distacco da vicenda e personaggi risulta propedeutica ad un avvicinamento graduale capace di far scoccare la scintilla dell’empatia in chi guarda.
Last Summer, per questi ed altri fattori, non sembra affatto un film “italiano” nel senso, tutto contemporaneo, deteriore del termine. Non cerca facili complicità con il pubblico, ma anzi invita lo stesso allo sforzo di immedesimarsi in una vicenda dal valore simbolico universale, al pari del crogiolo di razze, abitudini e, non ultime, pulsioni che ha il coraggio di mettere in scena.

Daniele De Angelis

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