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Last of the Wolves

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VOTO: 8,5

Homo homini lupus

All’interno della pattuglia giapponese sbarcata al 23° Far East Film Festival diverse sono state ancora una volta le opere delicate, minimaliste, sentimentali, ancorché in altre non siano mancati combattimenti e confronti tostissimi tra i personaggi, proposti però attraverso una divertente chiave iperbolica, fumettistica. Vedi lo scanzonato e movimentatissimo Office Royale, dove l’impronta del manga domina.
Robusta eccezione è in tal senso Last of the Wolves di Shiraishi Kazuya: selvaggio, iper-violento, disincantato, spietato e persino livido, tetro, quantunque vi si scorga a tratti un’ironia sulfurea e beffarda. Korou no Chi Level 2, il titolo originale, trattasi infatti del sequel di un altro lungometraggio smaccatamente hard boiled. E se del primo capitolo conservavamo un ricordo magari sfumato, ma favorevole, di personaggi e atmosfere, con questo veemente ritorno il livello è schizzato all’improvviso alle stelle.

Alla messa in scena secca, brutale, di inseguimenti, omicidi e atroci punizioni, si sovrappone fatalmente un non banale approfondimento dei personaggi principali, delle loro diverse motivazioni e di quegli stili di vita in chiaroscuro, cui non è certo estranea una persistente ambiguità di fondo. Se difatti appena uscito di prigione il killer Uebayashi si distingue da subito per il temperamento sadico e fondamentalmente disumano, anche il suo naturale antagonista, lo scaltro poliziotto Hioka intenzionato a porre fine alla mattanza in atto riportando così la pace tra bande rivali nuovamente in guerra tra loro, sarà costretto a sporcarsi le mani e a giocare con le regole del nemico, per ottenere il suo scopo. Specie quando una perdita per lui assai dolorosa farà assumere al plot le tinte del classico revenge movie, destinato a risolversi soltanto con una adrenalinica e ferocissima sfida tra i due.

L’azione, che trae ispirazione da un romanzo di Yuzuki Yuko, ha inizio nel 1991 con sullo sfondo la prefettura di Hiroshima, i cui tragici trascorsi atomici vengono citati in sostanza solo da un’immagine posta sui titoli di coda…
Del resto abbastanza cupa di suo è la trama poliziesca gettata in pasto agli spettatori, da quando la ricomparsa dello sregolato Uebayashi conduce prima alla sua violentissima scalata al potere, in quel clan Itako cui apparteneva già prima di finire in prigione, poi al voler riaprire la sanguinosa faida con gli Odani proprio per onorare la memoria del vecchio capo scomparso.
Maestre di piano dagli occhi strappati, detenzioni di ex luogotenenti del boss arricchite di sevizie incredibili, ciniche decisioni di detective corrotti, raid nel territorio degli avversari e informatori della polizia brutalmente eliminati… di materiale ad alto voltaggio ce n’è veramente tanto in questo yakuza movie che, nella sua estetica esasperata, guarda alle crude interpretazioni del genere di Fukasaku Kinji come pure alle più recenti provocazioni di Miike Takashi. Senza trascurare neppure, volendo, l’astuta parafrasi di qualche noir occidentale, dal mafia movie nostrano con gli scontri al vertice dei clan siculi alle straordinarie parabole cinematografiche di un Coppola o di un De Palma. Il risultato è scoppiettante ma anche sorprendentemente coeso, grazie soprattutto alla consapevolezza registica di Shiraishi Kazuya, che sa sempre trovare i toni giusti. Fino a quella metafora ferina magistralmente espressa nelle battute finali. Sono passati anni, infatti, dalla chiusura del caso, ma l’ombra del lupo è sempre presente…

Stefano Coccia

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