Conoscer(si)
Forse vi sarà capitato di domandarvi se un analista, al di fuori della stanza in cui esercita e avvengono i colloqui, continua ad esser tale, la cosiddetta “deformazione professionale”. Ecco, potrebbe apparire banale esplicitarlo, ma i panni della propria professione (probabilmente ancor più in certi casi) non si svestono mai, almeno inconsciamente. Questo è ciò che accade a Elia Venezia (un Toni Servillo in forma smagliante anche alle prese con questo registro, non ancora molto frequentato sul grande schermo) nel momento in cui incontra la spagnola Claudia (una Verónica Echegui pronta a dar brio e al contempo fragilità al suo personaggio).
Va subito detto che il soggetto (ideato da Francesco Bruni) di Lasciati andare è già di per sé originale; la sceneggiatura (scritta dallo stesso Bruni, Davide Lantieri e il regista Francesco Amato) è una partitura da commedia ben pensata a tavolino – senza che, però, restituisca l’idea di un calcolo artificioso – e ad orchestrarla ci pensa l’ottimo cast.
Lasciati andare si apre con un tassello che il pubblico ricollegherà più avanti, ritrovando anche un gufo (siamo volutamente un po’ criptici). Subito dopo ci si ritrova nello studio dello psicanalista, un uomo che appare pure nelle sue debolezze – quantomeno culinarie – per poi scoprirne altre. Chissà se il paziente immagina, stando sul lettino, che il suo dottore si estranea o per lo meno si delizia con pasticcini. Sarà questa sua ingordigia a far sballare le analisi e a portarlo a prendersi cura del proprio corpo. «Devi andare in palestra perché lì paghi e questo fa parte delle cose», dice il suo medico curante a Elia. Ecco questa frase ricorda uno degli insegnamenti di Freud secondo cui il paziente deve sentire i soldi che gli escono dalle tasche. È così che, ancor prima di incontrare Claudia, iniziano ad emergere dei punti di contatto tra il lavoro dell’analista e quello della personal trainer: entrambi «ristrutturano». Gli autori dello script sono stati abili anche nel porre in atto un gioco di rimandi e di parole tra i due ambiti, più o meno sottili, dal «se vuoi ottenere qualcosa devi faticare» a «la prima seduta è gratis»; ma ci sono anche delle differenze. Se lei dà del tu per creare un rapporto di amicizia col cliente; lui si pone dando del lei, anche verso la donna – pur non essendo ufficialmente una sua paziente. Sia Claudia che Elia pensano (o sono ritenuti dagli altri) di essere i migliori nel proprio campo, hanno le proprie idee sulla “cura” così come i punti irrisolti che pian piano vengono a galla. Lui, intuiamo quasi subito, ha intessuto uno “strano” rapporto con la moglie da cui si è separato (la brava Carla Signoris) ed è interessante notare come un analista, che di lavoro supporta nel percorso di crescita, nel proprio privato assuma atteggiamenti infantili o di controllo (senza svelarvi troppo) perché è difficile lasciar andar. Così come non è semplice lasciarsi andare e gli ottimi interpreti (dai protagonisti ai ruoli non centrali) riescono a rendere perfettamente quest’idea così universale e, allo stesso tempo, personale. «La vita è ciò che ci accade mentre ci occupiamo di altro» scriveva Raffaele La Capria. Questo si verifica in Lasciati andare, arrivando a smantellare certe sovrastrutture senza pensare che lo si stia facendo.
La commedia scorre con un buon ritmo, merito certo della scrittura, ma anche delle parti ben cucite addosso agli interpreti. Si avverte, tra le righe e non, uno humor ebraico sottile (che a tratti ricorda alcune battute dei testi di Yasmina Reza) – non a caso la location è il ghetto di Roma ed è ovviamente voluto che Elia non voglia presenziare più alle funzioni né in quegli ambienti. Osservando il risultato sul grande schermo, si percepisce un lavoro preparatorio quasi da prove teatrali e non da tempi cinematografici, con uno studio accurato anche dell’immagine (basti pensare alla barba che richiama Freud) oltre che della parola, a cui si somma la bravura nel saper andare sopra le righe nella giusta misura. Amato alla sua terza prova dietro la macchina da presa è riuscito a guidare un cast di alto livello sul delicato filo di una commedia leggera, che fa riflettere e sorridere, senza mai banalizzare. «I film di Billy Wilder e Woody Allen e i brani di Duke Ellington ci hanno ispirato. Ma a mostrarci la via sono stati gli scritti, l’autobiografia e le lettere, di Groucho Marx, maestro nel non prendersi troppo sul serio» (dalle note di regia).
Un’ulteriore nota di merito va al sempre più eclettico Luca Marinelli (il balbuziente Ettore). Nel cast anche Valentina Carnelutti, Paolo Graziosi, Vincenzo Nemolato e Pietro Sermonti.
Il resto ve lo lasciamo gustare in sala.
Maria Lucia Tangorra