Gli amanti irregolari
Un docente universitario si apparta con una sua studentessa nella sala professori. I due consumano un veloce amplesso in piedi. Con questa scena, nel solito abbacinante bianco e nero del regista, comincia il film L’amant d’un jour, l’ultima opera di Philippe Garrel presentata alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2017. Un cineasta che è ormai arrivato a oltre trenta film, in una filmografia che affonda le sue radici – e non solo cronologicamente – negli anni Sessanta. Un momento di alta trasgressione, quello della prima scena. Cui segue una storia triangolare, quella della convivenza a tre tra un professore e la studentessa con cui ha una relazione da pochi mesi, tenuta nascosta all’università, e la figlia di lui che torna a vivere col padre dopo essere stata lasciata dal fidanzato. La figlia e la compagna del docente hanno la stessa età, entrambe 23 anni. Ma non c’è trasgressione nel cinema di Garrel, non c’è un punto di vista morale o moralistico. Nemmeno quando si scopre che la ragazza è ritratta in foto porno in una rivista che campeggia in tutte le edicole. È il suo stesso cinema a rappresentare la trasgressione. Non c’è imbarazzo, e tantomeno morbosità, a raccontare di situazioni edipiche, amori irregolari ai più, triangoli e complicate situazioni sentimentali. È proprio la stessa naturalezza dello sguardo a rappresentare la contravvenzione in un cinema conformista. Pensiamo solo a quando, tra i ragazzi delle occupazioni sessantottine del film Les amants réguliers, il protagonista dice a una ragazza qualcosa del tipo “Stasera vengo a dormire da te, dopo che ieri ero da quell’altra”. Una sola battuta a rendere quel clima di promiscuità di quel contesto che il collega Bernardo Bertolucci raccontava al contrario con tonnellate di morbosità in The Dreamers.
Philippe Garrel affonda la sua purezza e il suo rigore direttamente nel cinema di Jean Eustache raccontando di amori effimeri, dell’instabilità e della precarietà dei sentimenti e della vita, e costruisce opere come questa, brevi, semplici, minimali, essenziali quanto detonanti. “L’amore è così” si dice a un certo punto nel film, e così è il cinema di Garrel. L’amant d’un jour è un film di geometrie, dove a quelle simmetrie delle relazioni amorose ne corrispondono altrettante da un punto di vista formale e strutturale. La studentessa viene mostrata subito mentre sale le scale dell’ateneo, in tutto il film si susseguiranno ossessivamente salite e discese, di scale o di stradine che sono sempre in pendenza. Mentre il rapporto sessuale consumato in piedi tornerà tre volte nel film. Garrel usa una voce off femminile in terza persona che semplifica e risolve alcuni raccordi narrativi. Usa specchi, che possono anche veicolare messaggi scrivendoci sopra, mentre nella scena del tentato suicidio della figlia, trattenuta dall’altra ragazza mentre è in procinto di buttarsi da una finestra, a un certo punto inquadra la sola finestra, un quadro secondario nell’inquadratura, mentre i dialoghi delle due ragazze sono lasciati fuoricampo.
E nell’apparente leggerezza rohmeriana evoca la guerra d’Algeria, nella testimonianza del cameriere che ci aveva combattuto riportando il doloroso punto di vista coloniale, il rimosso e i sensi di colpa della nazione francese. Anche in questo il cinema di Garrel si conferma come un cinema necessario.
Giampiero Raganelli