Passo a due
La Settima Arte ha il potere di rendere immortali tutti quegli esseri umani che, in un secolo e passa della sua storia, hanno contribuito in maniera significativa ad alimentarne tanto la bellezza quanto l’immaginario del pubblico che si è avvicendato davanti allo schermo. Tra i grandissimi esponenti che hanno lasciato un segno indelebile nella mente e nei cuori degli spettatori italiani e non, un posto spetta di diritto a Massimo Troisi, l’indimenticabile attore e regista campano che con la manciata di pellicole da lui scritte, dirette e interpretate, le incursioni teatrali e televisive che lo hanno visto protagonista dagli anni Settanta sino alla sua triste e prematura scomparsa nel 1994, ha scolpito il suo nome a caratteri cubitali nella memoria collettiva. Ed è a questa memoria, al suo incredibile talento davanti e dietro la cinepresa, ma soprattutto al suo lascito artistico, che Mario Martone ha dedicato il documentario Laggiù qualcuno mi ama, presentato in anteprima mondiale alla 73esima Berlinale, pochi giorni prima dell’uscita evento per Medusa Film il 23 febbraio.
Realizzato dal regista partenopeo in occasione del 70° anniversario dalla nascita di Troisi, così come altre produzioni recenti come Buon compleanno Massimo di Marco Spagnoli (andato in onda il 17 febbraio nella prima serata di Rai 3) e Il mio amico massimo di Alessandro Bencivenga (distribuito nelle sale lo scorso dicembre da Lucky Red), il docu-film si concentra proprio sui suddetti aspetti dando vita a un ritratto biografico e al contempo a un ideale dialogo a due tra registi che si sono sfiorati e stimati reciprocamente. Ed è questo dialogo, accompagnato da un flusso di immagini di ieri e di oggi, ricordi, testimonianze, materiali inediti come i diari e i foglietti originali con gli appunti da lui scritti a mano, le note di Pino Daniele e le tappe di un viaggio fisico nei luoghi (a cominciare dalla sua San Giorgio a Cremano dove è nato, cresciuto e mosso i primi passi nei teatrini off), che va a creare il tessuto narrativo di un’opera con la quale Martone prosegue un suo personalissimo omaggio e confronto con alcune delle figure fondamentali della rappresentazione partenopea.
Così dopo Scarpetta (Qui rido io) ed Eduardo (Il sindaco del Rione Sanità), si confronta con un’altra figura fondamentale della rappresentazione partenopea, disegnando sulla tela dello schermo un ritratto sentito e classico nella confezione. Col montaggio dei film e di filmati di repertorio si intersecano alcune conversazioni, non con persone che frequentavano Troisi, bensì con artisti che lo hanno amato e ne sono stati influenzati, come Francesco Piccolo, Paolo Sorrentino, Ficarra e Picone, critici che lo hanno studiato, come Goffredo Fofi e collaboratori come Michael Radford, Roberto Perpignani e Anna Pavignano. Quest’ultima, compagna di vita per un periodo e di scrittura, a rappresentare il vero jolly nelle mani dell’autore. Non è un caso che è proprio dal faccia a faccia con lei che emergono le emozioni vere e gli aspetti inediti. Diversamente da quanto accade invece con il resto degli intervistati presenti nel cast, dai quali emergono spunti e contenuti interessanti, ma privi di afflato e coinvolgimento.
Martone sceglie dunque una linea diversa, più saggistica che emozionale, rispetto a quella più partecipe e nostalgica percorsa dagli altri colleghi che si sono recentemente confrontati con Troisi. Il ché permette a Laggiù qualcuno mi ama di differenziarsi nell’impostazione e nell’offerta, così da trovare una sua chiave e ragione d’essere che ha portato il regista napoletano a riflettere e radiografare il cinema di Troisi, non semplicemente a rievocare il personaggio pubblico e privato come si è soliti fare in operazioni analoghe.
Francesco Del Grosso