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L’adieu à la nuit

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VOTO: 6

Conflitti

Se, sin dal suo primo lungometraggio, il cineasta francese André Téchiné ci ha fatto sognare – ma anche soffrire – con tenere, crude e spesso crudeli storie adolescenziali (suo vero marchio di fabbrica), l’autore, il quale per anni ha fatto da aiuto regia al grande Jacques Rivette, si è fin da subito classificato come uno dei nomi maggiormente attesi all’interno di questo 69° Festival di Berlino, benché il suo L’adieu à la nuit sia stato presentato Fuori Concorso.
Pur mantenendo, dunque, la costante adolescenziale, questo suo ultimo lungometraggio si è sin da subito presentato come probabilmente il suo film più politico. O almeno, questo si sarebbe potuto evincere dai primi minuti. Ma andiamo per gradi.
Muriel (Catherine Deneuve) ha cresciuto, sin da quando, da bambino, è rimasto orfano di sua madre, il nipote Alex (Kacey Mottet Klein), ormai più che ventenne e in procinto di trasferirsi all’estero con la sua fidanzata storica, Lila (Oulaya Amamra), una ragazza di origini musulmane che lavora come infermiera in ospedale. Tutto sembra andare per il meglio, finché Muriel non scopre che suo nipote si è convertito all’Islam e che, invece di partire per motivi di studi, ha intenzione di raggiungere un gruppo di terroristi in Siria.

Il conflitto generazionale, la voglia di sentirsi parte di qualcosa di “importante” e, soprattutto, il volersi staccare a tutti i costi dalla propria famiglia di origine sono praticamente tematiche ricorrenti all’interno della filmografia di Téchiné. In questo suo L’adieu à la nuit, in più, come già preannunciato, è presente la componente politica che, tuttavia, viene toccata solo lievemente e mai approfondita, dal momento che lo stesso regista ha sin da subito rivelato le sue intenzioni nel volersi concentrare principalmente sul dramma della stessa Muriel, la quale si ritroverà praticamente da sola a tentare di riportare suo nipote sulla retta via, cercando di salvargli la vita e facendogli, allo stesso tempo, evitare il carcere. Che sia Muriel, qui, al centro della messa in scena (contrariamente alle precedenti scelte di mettere a fuoco i giovani e i giovanissimi), lo possiamo già intuire sin dalla primissima scena, in cui vediamo la donna passeggiare insieme a un suo collaboratore per la tenuta di sua proprietà e fermarsi, improvvisamente, a contemplare una simbolica eclissi di sole.
Grazie anche alla bravura della Deneuve, dunque, tale personaggio risulta ben caratterizzato e finisce inevitabilmente per spiccare su tutti. Persino sui giovani, che, di fatto, certamente non deludono le aspettative del pubblico.
Il resto, come tradizione vuole, viene da sé: ampio spazio ai dialoghi, atmosfere calme e ambientazioni soleggiate e immerse nel verde: ciò che circonda gli stessi protagonisti fa da contrappunto alle loro stesse battaglie e, a suo modo, sta a preannunciare un ritorno della quiete e dell’equilibrio appena rottosi. Eppure, malgrado tutto, la vera pecca di un lungometraggio come L’adieu à la nuit sta proprio nel finale. Volendo evitare ogni spoiler, tutto sembra improvvisamente prendere una determinata piega in modo eccessivamente sbrigativo, per non dire addirittura raffazzonato. Quasi come se lo stesso regista si fosse stancato di portare avanti la cosa o, addirittura, come se non sapesse come fare per costruire una soddisfacente e ben strutturata conclusione,facendo sì che l’intero lavoro finisca inevitabilmente per sgonfiarsi come un palloncino, trasmettendo allo spettatore, al termine della visione, una sgradevole sensazione di incompiutezza. Peccato.

Marina Pavido

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