«Io vengo dalla luna»
Sei mesi prima della storia che di lì a poco rivivremo, un ragazzino sveglio – a tratti scaltro – con il mantra della sopravvivenza che si alterna con la disobbedienza, nel caos del mercato ruba ad un’anziana signora due candelabri, facendola anche cadere per terra. Lui è interpretato dal dodicenne Ibrahima Gueye, figlio di una coppia di immigrati senegalesi («la grande sfida è stata individuare il giovane attore giusto per interpretare Momo e Edoardo Ponti voleva essere sicuro di trovare un bambino che fosse sia musulmano che immigrato in Italia. Il regista e i suoi collaboratori hanno assistito a circa 350 audizioni di ragazzini papabili per il ruolo, ma fortuna ha voluto che sia stato proprio il primo bambino che hanno visto a conquistare il loro cuore e ottenere la parte», dalla nota ufficiale); lei da colei che finalmente ritorna al cinema dopo ben undici anni, Sophia Loren.
La vita davanti a sé, dal 13 novembre su Netflix (produzione Palomar in collaborazione con Artemis Rising Foundation, con il supporto di Regione Puglia, Puglia Promozione, Apulia Film Commission), è basato sull’omonimo romanzo di Romain Gary (Emile Ajar) edito da Neri Pozza, un vero e proprio classico del secondo Novecento. Già nel 1977 Moshé Mizrahi ne fece una trasposizione, che vinse l’Oscar come miglior film straniero grazie soprattutto alla memorabile Simone Signoret nel ruolo di Madame Rosa – già Variety ha ipotizza che la ‘nostra’ Sophia Loren possa concorrere a questo importante riconoscimento. Effettivamente è colei che riempie lo schermo – come spesso ci ha abituati a fare: già solo con le pieghe del suo volto trasmette un vissuto enorme sia del personaggio sia dell’attrice. «La prospettiva di interpretare un personaggio così forte è stata irresistibile, ma non è l’unico motivo: penso anche che la combinazione di irriverente vitalità e di fragilità di questa donna mi abbia ricordato un po’ mia madre», ha dichiarato l’attrice e questo trasporto-coinvolgimento traspare dal lungometraggio.
L’altro punto di equilibrio – e al contempo scombussolamento emotivo per il personaggio – è costituito proprio dal ragazzino, che porta con sé tutta la spontaneità della prima esperienza, reggendo il ‘confronto’ con una Signora della Settima Arte qual è la Loren.
Momo è stato affidato a un dottore (a cui dà corpo un ottimo Renato Carpentieri, che con la sua voce inconfondibile, trasmette la tenerezza di un uomo che vuole accudire, ma ha anche un limite) quando la mamma è venuta a mancare. Quando questi scopre l’atto compiuto dal dodicenne, lo invita a prendersi le proprie responsabilità di fronte a Madame Rosa e coglie l’occasione per domandare alla donna – dal pugno fermo e non solo – di prendere con sé Momo, dato che si prende cura di altri due bambini di diversa età. L’anziana è un’ex prostituta, ebrea scampata all’Olocausto, che si mantiene proprio ospitando nella sua casa i figli delle colleghe – al piano inferiore vive una di loro, l’energica e positiva Lola (l’attrice spagnola Abril Zamora).
In determinate situazioni, lo sappiamo, tanto più quando non si è seguiti, la soluzione più ‘semplice’ sembra essere decidere di spacciare: Ruspa (Massimiliano Rossi), il signore della droga lo recluta proprio di fronte ai risultati portati in una sola settimana. Fiutando che il ragazzino stia prendendo una brutta strada il venerando Dottor Coen comprende che Momo ha bisogno di attenzioni, polso duro, ma anche empatia e lo riceverà da Madame Rosa, ma anche dal signor Hamil, il proprietario del negozio che lo prende sotto la sua ala (l’impeccabile interprete italo-iraniano Babak Karimi).
Senza dubbio non era semplice ridurre un romanzo di ben 224 pagine, Ponti con Ugo Chiti hanno operato delle scelte ben precise che, talvolta, li hanno ‘costretti’ ad accelerare in alcuni nodi narrativi che sarebbe stato interessante approfondire (come la vicenda personale di Madame Rosa e l’avvicinamento tra lei e Momo).
«Queste due anime sono le due facce opposte della stessa medaglia, che incespicano nella vita raccogliendo angosce e dolori fino a quando non trovano uno nell’altra un destino comune che cambierà per sempre le loro esistenze. Adattando il romanzo, ho scelto di spostare l’ambientazione della storia da Parigi alla pittoresca città costiera italiana di Bari. Attraverso gli occhi irriverenti di Momo, vediamo il precoce e scaltro ragazzino di strada imbarcarsi in un viaggio nel cuore antico di Bari, con il suo dedalo di vicoli dove regnano prostituzione, immigrazione illegale e criminalità. Ma questo quartiere difficile è anche il luogo in cui il ragazzo imparerà importanti lezioni di vita», ha spiegato il regista nelle sue note.
Nonostante il cast di grande livello, a partire dai protagonista, ci duole constatare che La vita davanti a sé manchi di quel quid in più di empatia e di affondo nelle vite che avrebbero permesso un ulteriore coinvolgimento dello spettatore.
«Chi si ama lo sa
serve incanto e realtà
a volte basta quello che ci mette
la vita davanti a sé»
dal brano “Io sì” (“Seen”), musica di Diane Warren, testo scritto a sei mani dalla stessa Warren, Niccolò Agliardi e Laura Pausini, con quest’ultima che lo interpreta.
Maria Lucia Tangorra