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La visita y un jardín secreto

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VOTO: 8,5

Il mistero di una vita

Retrospettive a parte, una delle scoperte più significative ed entusiasmanti di Bergamo Film Meeting 2023 è stata senz’altro l’urticante, generosa, personalissima opera cinematografica di Irene M. Borrego, La visita y un jardín secreto (The Visit and a Secret Garden, Spagna – Portogallo 2022). Premiato all’interno della sezione Visti da vicino ex aequo con No Place Like Home di Emilie Beck, il documentario indaga da prospettive inusuali la misteriosa figura di Isabel Santaló, artista caduta oggi nel dimenticatoio. Presentato a Bergamo come “un film che riflette sulla memoria e l’oblio, sull’arte e il processo creativo e si domanda cosa significhi essere un’artista e una donna“, La visita y un jardín secreto riesce in effetti ad assorbire nella forma scelta dall’autrice la responsabilità etica di tale ricerca, di un confronto tanto serrato e intimo avvenuto peraltro in ambito famigliare.

Non è affatto un’opera accomodante, La visita y un jardín secreto. Né tantomeno un qualcosa che sia stato facile girare per via delle evidenti implicazioni emotive. Difatti María Isabel Ruiz alias Isabel Santaló risulta essere l’anziana zia della regista; una sua parente, quindi, tenuta però per lungo tempo ai margini della famiglia proprio per quelle scelte di vita, in netto contrasto con certe convenzioni borghesi care evidentemente agli altri. Resa oggetto, secondo modalità solo in parte attenuate, di simili pressioni volte a suggerire un’esistenza più ordinaria e a reprimere qualsiasi velleità artistica, la giovane cineasta Irene M. Borrego si è voluta quindi rispecchiare nella parabola esistenziale della zia, scegliendo però non un confronto rassicurante e pacifico, bensì una continua tensione dialettica.
Le interviste con Isabel Santaló sono al limite della sfida, quasi duelli all’arma bianca tesi a far emergere anche il rimosso; sì, perché attraverso una sorta di “processo maieutico” l’autrice vuole far luce sulle tante zone d’ombra di questa sofferta vicenda umana. I casi della vita del resto hanno voluto che le opere stesse della donna, un tempo oggetto di mostre e dell’attenzione di diversi addetti ai lavori, col tempo siano state dimenticate, fatte sparire in vari modi o addirittura nascoste. Pressoché certo è ad esempio che l’artista stessa ne conservi alcune in una stanza del proprio modesto appartamento, tenuta però sempre chiusa. Un mistero nel mistero. Il modo stesso di filmare la protagonista nel suo ambiente è un lento, quasi ieratico farsi strada in quella esistenza umbratile, baciata dal talento ma osteggiata al contempo dalla grettezza dei propri famigliari. Alla presenza silente ma affettuosa del gattone di casa, Ramses, a quelle un po’ più ciarliere di poche parenti e donne delle pulizie, va ad affiancarsi giusto l’importante testimonianza telefonica di Antonio López, noto pittore e scultore spagnolo il quale, pur avendo perso di vista da anni la meno fortunata collega, finirà per farne un ritratto rispettoso, accorato, finanche oggettivo nel valutarne la tutt’altro che disprezzabile vena artistica.

Ma parte integrante di questa difficoltosa detection sono senz’altro le coraggiose, spudorate scelte registiche di Irene M. Borrego, che con notevole personalità non si fa alcuno scrupolo nell’esibire microfoni in campo, ciak, discussioni con la protagonista sulla scelta dell’inquadratura più corretta, così da rendere le loro appassionate diatribe sul senso più profondo dell’arte un veritiero, rivelatore gioco di specchi, in virtù del quale tutti quanti alla fine possano rimettersi in discussione. Fino all’emozionante epilogo in cui sono pochi fotogrammi, rubati a un vecchio filmato di famiglia, lo strumento scelto per riportare una precaria armonia in questo sofferto rapporto famigliare.

Stefano Coccia

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