Riunioni di famiglia
Uno dei nomi più influenti del cinema francese contemporaneo, Arnaud Desplechin – ormai da quasi trent’anni a questa parte – ha saputo regalarci storie indimenticabili, nonché profonde e, a tratti, anche ciniche e disincantate riflessioni sull’esistenza umana e sulla difficoltà di conoscersi e di amare, concentrandosi, spesso e volentieri, sul mondo dei giovani e sulle loro relative formazioni sentimentali. Seppur particolarmente acerbo, dunque, il suo cinema vedeva la luce già nel lontano 1991, quando il celebre cineasta di Roubaix ha dato vita alla sua opera prima: il mediometraggio La vie des morts, riproposto sul grande schermo in occasione del Rendez-vous, Festival del Nuovo Cinema Francese 2018, dove, per l’occasione, è stata dedicata all’autore una personale retrospettiva.
Ripercorrendo, dunque, tutta la cinematografia del regista, in La vie des morts non possiamo che ritrovare i canoni principali dell’intera sua filmografia, con tanto di interpreti (anche in questa occasione magistralmente diretti) che, negli anni a venire, avranno, di volta in volta, ruoli importanti all’interno delle sue opere. Ed ecco che, in poco meno di un’ora, ci viene qui raccontata – in modo sottile e spesso doloroso – la difficile convivenza di un nutrito gruppo di parenti, riunitisi all’interno di una casa di provincia, in seguito al tentato suicidio di un ragazzo facente parte della famiglia. Attendendo costantemente notizie dall’ospedale, i “conviventi forzati” vedranno venire a galla vecchi rancori e mai sopite tensioni. Nemmeno i rapporti amorosi – e, nello specifico, quello tra il giovane Bob e la sua timida ragazza, unico membro esterno alla famiglia – sembrano trovare delle risposte sensate ai numerosi interrogativi che, nel corso di queste interminabili giornate, verranno di volta in volta sollevati.
Uno spunto più che interessante, dunque, quello da cui prende il via questa importante opera prima di Desplechin, il quale fin da subito ha dimostrato coraggio – e anche una notevole competenza – nel voler affrontare i tanto complessi rapporti umani. Anche in questa occasione, sono i dialoghi a fare da protagonisti (quasi) assoluti, i quali – con una periferia cupa e angusta e un’abitazione a dir poco claustrofobica sullo sfondo – rivelano fin da subito lo straordinario talento dell’autore, non perdendo mai di mordente e dimostrandosi perfettamente in grado di mantenere un buon livello per l’intera durata del lavoro.
Ovviamente, vuoi per inesperienza, vuoi anche per la sua scarsa durata, La vie des morts qualche pecca ce l’ha eccome. Ciò che maggiormente ci lascia insoddisfatti, ad esempio, è la debole caratterizzazione di personaggi rivelatisi fin dall’inizio decisamente promettenti, ma che, purtroppo, non hanno avuto modo di svilupparsi in appena una cinquantina di minuti. Succede. Soprattutto se si prova a considerare un lavoro del genere quasi come una sorta di “prova generale” di quella che è destinata a diventare una delle filmografie più interessanti – e complesse – del panorama cinematografico francese contemporaneo. E poi, parliamoci chiaro, ce ne vorrebbero eccome di esordi cinematografici così!
Marina Pavido