Gioco di spie e girotondo d’amore
Una vera chicca di Cinema Svizzero a Venezia 2023 (Spring Edition) 2023 è La vergine di Shandigor (L’Inconnu de Shandigor), film del 1967 diretto da Jean-Louis Roy; elegante nel classico bianco e nero, divertente ed inquietante al tempo stesso, è una spy story che strizza l’occhio al fantascientifico, a tratti grottesca e paradossale finanche nei suoi risvolti romantici.
Lo svizzero Jean Louis Roy, nato a Ginevra nel 1938 e morto nel 2020, è stato un regista prolifico; con The Unknown Man of Shandigor ha rappresentato la Svizzera a Cannes ed al Locarno International Film Festival (dove ha vinto la Recommendation of the Youth Jury), dimostrando come anche la piccola nazione elvetica fosse in grado di girare film qualitativamente interessanti.
Siamo negli anni dei primi film su James Bond, agente segreto al servizio di Sua Maestà, con uno Sean Connery affascinante e seducente; di contraltare, Roy porta sullo schermo un coro di spie improbabili di diverse nazionalità, tra cui spiccano per eccentricità i Calvi, il cui Capo è interpretato da Serge Gainsbourg, che interpreta anche la canzone “Bye Bye Mr. Spy” accompagnandosi con un organo, forse il momento più alto del film.
La trama già di suo punta al fantascientifico: lo scienziato misantropo Von Kranz, inventore dell’Annullatore, arma in grado di rendere inoffensiva la bomba atomica, decide di isolarsi dal mondo rinchiudendosi nella sua villa con la figlia Sylvaine ed il fedele assistente Ivan, per evitare che la sua scoperta cada nelle mani di chi la userebbe non per la pace ma per i l predominio totale. Un nascondiglio che viene ben presto preso di mira dalle diverse potenze; ci sono i bizzarri Calvi, gli spietati russi, il classico commando americano con tanto di ex nazista riciclato ed un’imperscrutabile spia orientale, che per equipaggiamento e mistero porta il livello “spy-fi” story al culmine. Nel mentre si sviluppano intrighi e farse, in parallelo si accenna al grande amor perduto della giovane Sylvaine: il bel Manuel, conosciuto ed amato a Shandigor, cui ella riuscirà a ricongiungersi ma che rappresenta l’incognita dell’intera storia. Il titolo originale infatti, a dispetto della traduzione italiana, è Lo sconosciuto di Shandigor, a significare che proprio Manuel, interpretato da Ben Carruthers, dovrebbe essere il fulcro degli intrighi. E in effetti l’inquietante finale lascia intravedere nuove possibilità aperte.
Se il personaggio dello sconosciuto di Shandigor è quello più simile ad un esotico Bond, a nostro parere gli scontri e gli intrighi tra le altre spie, a dir poco bizzarre, sono quelli che danno al film una marcia in più, donando eccentricità e stravaganza ad un genere che, nonostante l’ironia di Fleming, tende a prendersi troppo sul serio. La commedia di spionaggio è un filone che ben si adatta allo spirito goliardico italiano (da ricordare in particolare Due mafiosi contro Goldginger, film del 1965 diretto da Giorgio Simonelli ed interpretato dal duo comico Franco e Ciccio) e che ha acquisito nel tempo una propria singolarità mondiale, fino ad arrivare ai più recenti Austin Powers, Agente Smart, Johnny English, Agente Speciale 117. Quel che colpisce è trovare questa eccentrica ironia in un regista svizzero degli anni Sessanta, che, unita alla cura ed alla proverbiale precisione della piccola e sorprendente Nazione tra le Alpi ed il Giura, rende La vergine di Shandigor un vero e proprio gioiellino del cinema a tutto tondo.
Michela Aloisi