Nonostante tutto
Nel ricco cartellone dell’undicesima edizione di Cortinametraggio 2016, tra le opere brevi selezionate nella competizione ufficiale figura anche La slitta, secondo lavoro dietro la macchina da presa di Emanuela Ponzano dopo il pregevole Riflessi. Ed è lì, nel cuore delle Dolomiti, che lo abbiamo intercettato durante una delle tappe del circuito festivaliero che lo ha già visto protagonista in altre prestigiose vetrine come il Festival International di film d’Amour de Mons, il Visioni Italiane di Bologna e il Festival Kids First di Santa Fe.
La regista e attrice di origini belga racconta la storia di Alfred, un bambino di nove anni che vive con una famiglia modesta in un villaggio isolato di montagna. I suoi genitori hanno forti pregiudizi sugli immigrati, sono infelici, annoiati e spesso si scontrano ignorandolo. Per sfuggire all’impossibilità di comunicare il bambino decide di trasgredire l’ordine del severo padre di restare a casa e fugge per raggiungere i suoi compagni di scuola; ma sul cammino attraverso il bosco si perde. Impaurito, trova una slitta di legno con il suo proprietario, un ragazzino strano, diverso, di un altro Paese, che qualche volta aveva visto al villaggio. Dopo un iniziale scontro violento in cui si confrontano solo attraverso i pregiudizi dei genitori o della Società, i due si scoprono, si trovano e si osservano con i loro sguardi. Grazie alla slitta Alfred avrà, per la prima volta, la possibilità di un incontro reale con un’altra persona.
La Ponzano firma un breve e intenso romanzo di formazione, che affonda le radici drammaturgiche all’interno di un plot che mescola senza soluzione di continuità reale e fantastico. Quest’ultimo si materializza sulle pagine dello script prima e sullo schermo poi attraverso una slitta, mezzo di trasporto che i bambini usano abitualmente come un gioco, ma che nel caso del piccolo Alfred e della storia che lo vede protagonista si fa portatrice sana di significati più alti, assumendo valenze diverse in quanto simbolo di speranza, comunicazione e condivisione. Tra le maglie di una narrazione realistica, data da ambientazioni, personaggi, dinamiche e tematiche che ne rappresentano in tutto e per tutto il tessuto, si fa largo in maniera armoniosa ed equilibrata un elemento che, nella sua apparente semplicità, riesce comunque ad allargare gli orizzonti drammaturgici di un plot altrimenti già visto. Ciò rende La slitta un’opera capace di affrontare temi complessi e fortemente attuali come il razzismo, le minoranze linguistiche e il pregiudizio nei confronti dell’altro, ma con un tatto e un rispetto decisamente insoliti nel panorama della produzione breve nostrana. Tale approccio alla “materia” consente al cortometraggio nel suo complesso di sfuggire alle sabbie mobili della banalità e della scialba morale a buon mercato. Il lavoro in sottrazione che caratterizza sia la fase di scrittura che quella di messa in quadro traspare in maniera cristallina, consegnando alla platea di turno un film che lascia il segno come una carezza su una guancia.
La regista non punta sul colpo ad effetto, ma sull’unità, la coerenza, la semplicità e la scorrevolezza di un racconto compatto e circoscritto, che vuole scivolare verso il suo epilogo senza frenesia e celebrali volteggi autoriali. Il tutto attraverso una manciata di situazioni di facile lettura in grado di arrivare ai cuori e alle sinapsi di ogni tipologia di spettatore. L’universalità degli argomenti affrontati rendono il percorso meno tortuoso, ma non di certo meno arduo. L’autrice, infatti, non si siede mai sui vantaggi che potrebbero derivare dalla familiarità del pubblico nei confronti di certe dinamiche adolescenziali o generazionali già ampiamente sviluppate e transitate innumerevoli volte sullo schermo, al contrario le rielabora in chiave personale e intima. Questa intenzione prende forma e sostanza attraverso gli sguardi, le parole e i silenzi dei personaggi, in particolare quelli offerti dal giovanissimo e promettente Riccardo Specchio nel ruolo di Alfred, ben supportato dalla Ponzano stessa e da Ivan Franek nei panni della madre e del padre del protagonista.
Medesimo approccio, quello alla semplicità e alla cura, che ritroviamo anche nella messa in quadro con uno stile asciutto, essenziale, funzionale alla storia, al servizio dei personaggi e delle perfomance degli interpreti, ma non di certo privo di soluzioni visive degne di nota. Pregevole ed elegante è di riflesso la confezione, impreziosita dalla bellissima fotografia di Giuseppe Maio e dalle note avvolgenti della colonna sonora firmata da Teho Teardo.
Francesco Del Grosso