«In libertà, cosa ci vedete?»
«E che lo spirito immondo, uscito da un corpo,
ne trova altri sette peggiori di lui».
Blaise Pascal, “Compendio della vita di Gesù”
Abbiamo voluto cominciare la nostra recensione su La scuola cattolica di Stefano Mordini con la stessa citazione scelta da Edoardo Albinati, autore dell’omonimo libro (edito da Rizzoli – Premio Strega 2016) da cui è tratto il film. Immaginiamo – e lo hanno dichiarato anche nel corso dell’incontro stampa a Venezia – che non sia stato per nulla semplice per Massimo Gaudioso, Luca Infascelli e lo stesso Mordini trarre una sceneggiatura da un romanzo di circa 1300 pagine, definito da Filippo La Porta su “Il Messsaggero” «libro potente, fluviale, zibaldone digressivo e soprattutto una profonda meditazione sul male».
«Trovare un modo per osservare con il necessario distacco questa storia su cui aleggia, inesorabile, l’omicidio del Circeo, un racconto che lentamente si trasforma in dramma e poi in un incubo che ha segnato molti dei nostri ricordi, è stata per me la vera sfida da affrontare quando ho cominciato a lavorare a questo film. Non ho voluto spettacolarizzare quella violenza, l’obiettivo era seguire il fluire del viaggio dalla città verso il mare, con il desiderio che la storia potesse avere un finale diverso. Volevo investire emotivamente su quella speranza proponendo una lettura dei fatti, in sintonia con il libro di Edoardo Albinati, che vuole ampliare il più possibile la responsabilità di quel che è successo, anche al di là di quella innegabile dei tre autori del delitto.
In sceneggiatura abbiamo trasformato le parole dello scrittore in voce narrante, sostenendo l’idea di un racconto collettivo dove tutti i personaggi ruotano attorno a un unico asse rappresentato dalla loro scuola, il loro quartiere, la loro classe sociale», ha dichiarato il regista.
L’incipit del film avviene di notte, in un quartiere che si intuisce residenziale per come sono curati gli alberi, di spalle osserviamo un ragazzo che cammina con una certa lena, il volto è sudato, ogni tanto si gira guardandosi indietro, sospettoso ancor più dopo aver sentito un rumore ben preciso provenire da una macchina che conosce bene. Salto temporale e ci ritroviamo sei mesi prima. La voce narrante è giovanile, lo spettatore quasi viene sfidato nell’identificarla, ma qui tornano utili le parole di Mordini precedentemente citate. «Era il 1975 e la violenza era all’ordine del giorno» di conseguenza, sembra, che due fossero le opzioni: «sopraffare o essere sopraffatto».
Dal punto di vista narrativo, in realtà, si viaggia nel tempo ora andando indietro di 5 mesi, ora di 130 ore prima del massacro, mescolando le carte, a nostro parere volutamente, chiedendo una partecipazione attiva al pubblico, suggerendo paradossalmente come il male insito nell’essere umano possa sedimentarsi, emergere ‘per gioco’ o essere sottovalutato così come il dolore (Eleonora Rummo, interpretata da una credibile Valentina Cervi lo sa bene così come lo sa bene, esprimendolo in un’altra maniera, Ilaria Arbus – una Valeria Golino che manifesta con le sue attenzioni per il figlio e i suoi amici, ma ancor più, in una scena, con lo sguardo).
Il luogo, abitato da specifiche persone e regole, è essenziale in questa storia. In un quartiere residenziale di Roma sorge una nota scuola cattolica maschile dove vengono educati i ragazzi della migliore borghesia, i cosiddetti «figli di papà». Le famiglie pensano che in quel contesto i propri figli possano crescere protetti dai tumulti che stanno attraversando la società e che quella rigida educazione potrà spalancare loro le porte di un futuro luminoso. In realtà il lungometraggio ci mostra gli spaccati di vita di diversi personaggi, come in modo differente reagiscano i padri (compresa l’assenza), come alcune azioni siano compiute per abitudine e non perché si sentano veramente e come, all’interno di una sede che dovrebbe proteggere, possano annidarsi comunque atti di bullismo. «C’eravamo cuciti addosso una maschera d’innocenza».
Prof.: «Vi ho fatti venire qui stamattina perché vorrei iniziare queste nostre conversazioni davanti a questa immagine. Vorrei molto semplicemente che voi mi diceste, in libertà, cosa ci vedete», esordisce il professore di teologia, il quale ha per cognome (non a caso) Golgota (a cui dà corpo e voce con la giusta misura tra fermezza e provocazione – nell’accezione costruttiva del termine – Fabrizio Gifuni). Gli studenti sono andati in trasferta proprio per seguire questa lezione che, nelle intenzioni del docente, vorrebbe aprir loro la mente.
Alunno: «Degli uomini che picchiano Gesù», risponde un alunno.
Il professore riprende: «Sono sei uomini che picchiano Gesù. Come li definireste questi sei uomini?»
Alunno: «Come degli aguzzini».
Prof.: «Degli aguzzini. E chi è la vittima?»
Alunno: «Beh Gesù».
Prof.: «Sicuro? A me sembra che anche gli aguzzini siano delle vittime perché chi fa del male lo fa anche a se stesso, giusto?».
Alunno: «Giusto».
Altro Alunno: «Io aggiungerei che non sono solo loro i colpevoli, ma anche Gesù che si serve della loro malvagità per elevarsi sopra di essi, per essere perfetto».
Prof: «Ah… ».
Alunno1: «Non è forse questa perfezione dimostrazione di superbia?».
Alunno2: «Ma che dici, scusa? Il bene è la perfezione e la perfezione è Dio».
Prof.: «Allora io credo che voi dobbiate iniziare a pensare che il diavolo, forse, si presenta quando noi stiamo dalla parte del giusto, quando ci sentiamo inebriati dalla nostra perfezione».
Alunno2: «Quindi lei sta dicendo che quando ci comportiamo bene stiamo seguendo i suggerimenti del diavolo e quindi non c’è più nessuna differenza tra il santo e i suoi aguzzini?».
Prof.: «Ma certo che c’è una differenza, anche Gesù è un uomo, si è fatto uomo. Essendo uomo partecipa dell’imperfezione perché contiene in sé i segni del male. Diventiamo uomini ereditando il male, commettendo il male e subendo il male. Per subire il male ci sarà pur bisogno di qualcuno che lo commetta. E allora? Non sei convinto Gianni…».
Alunno2: «Non lo so, io credo che si diventa umani commettendo il bene, a quanto pare lei sta dicendo che si diventa uomini solo commettendo il male, non capisco…»
Prof.: «E quindi il professor Golgota stamattina sta delirando…».
Così si conclude questa scena di pochi minuti, ma a nostro parere (già alla prima visione durante la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia) chiave rispetto alla prospettiva della storia, di riflesso del film e, in generale, della vicenda di cronaca. In questo punto si pongono e rilanciano seriamente degli interrogativi, non si elargisce il ‘sapere’ come per assodato, si spinge a mettere e mettersi in discussione. Queste parole riecheggeranno nel corso del film, in particolare quando si arriva al momento del delitto.
Volutamente abbiamo inserito, riportando il dialogo, la parola alunno (numerando), volendo anche rispettare quel senso collettivo di cui parlava Mordini e che emerge dal libro. Non ci sentiamo di far finta di nulla, purtroppo qualche giorno prima dell’uscita in sala prevista per il 7 ottobre, è arrivata la comunicazione ufficiale che La scuola cattolica sarebbe stato vietato a chi non ha compiuto ancora 18 anni.
«Il film era già stato presentato fuori concorso all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia lo scorso settembre, e in quella circostanza, era stato classificato come vietato ai minori di 14 anni.
La Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche incaricata dalla Direzione generale Cinema e audiovisivo del Ministero della Cultura ha così motivato la sua decisione:
“Il Film presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice. In particolare i protagonisti della vicenda pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti. Questa lettura che appare dalle immagini, assai violente negli ultimi venti minuti, viene preceduta nella prima parte del film, da una scena in cui un professore, soffermandosi su un dipinto in cui Cristo viene flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un’interpretazione in cui gli stessi, Gesù Cristo e i flagellanti vengono sostanzialmente messi sullo stesso piano. Per tutte le ragioni sopracitate la Commissione a maggioranza ritiene che il film non sia adatto ai minori di anni diciotto”.
Le motivazioni del divieto imposto vertono dunque tutte attorno a elementi tematici del film o a valutazioni di tipo artistico-espressivo, limitando di fatto la stessa libertà artistica e di espressione degli autori.
Questo è accaduto sebbene il DPR 11/11/1963 n. 2029 (Regolamento di esecuzione della Legge 21/4/62 n. 161 sulla revisione dei film e dei lavori teatrali) all’articolo 9 elenchi in modo chiaro gli elementi scenico/narrativi che possono determinare l’applicazione del divieto di visione ai minori, e tra i quali non è di certo inclusa la tematica di un film (anche quando la stessa risulti incentrata su valutazioni teologiche o filosofiche).
Una decisione in netta contrapposizione con quanto affermato lo scorso aprile dal Ministro Franceschini che, alla firma del decreto che istituì la nuova Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, commentò: “Abolita la censura cinematografica, definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”» (dal comunicato ufficiale). A onore di cronaca, la seconda commissione che ha risposto all’appello presentato dalla produzione, la quale ha chiesto di rivedere il divieto, lo ha purtroppo confermato fornendo come motivazione la crudezza di alcune scene.
Ciò che ci rammarica è che questa storia realmente avvenuta ha coinvolto proprio ragazze e ragazzi dell’età a cui è stato posto il veto di visione. Spesso il cinema si assume delle responsabilità e dei rischi; nello specifico questo dialogo, come accennavamo, aveva subito drizzato le nostre orecchie perché poneva delle domande, non regole o dogmi ed è ciò che dovrebbe fare un insegnante provando a stimolare il confronto e a far emergere punti di vista.
«Non riesco a trovare delle ragioni valide per questa censura e se mi sforzo di trovarle, mi inquietano», ha commentato Stefano Mordini continuando «Nella motivazione della commissione censura si lamenta il fatto che le vittime e i carnefici siano equiparati, con particolare riferimento a una lezione di un professore di religione, ma questo è esattamente il contrario di quello che racconta il film, e cioè che, provenendo dalla stessa cultura, è sempre possibile compiere una scelta e non deviare verso il male. Una delle due vittime, all’epoca, era minorenne e il nostro è un film di adolescenti interpretato da adolescenti. Trovo assurdo che oggi si vieti ai ragazzi anche solo di vedere, attraverso un libero mezzo di espressione, quello che due ragazze come loro anni fa hanno subito, questo atto censorio priva una generazione di una possibile presa di coscienza che potrebbe essere loro utile per difendersi da quella violenza spesso protagonista nella nostra cronaca. E questo perché alcune delle ragioni di quella tragedia sono purtroppo ancora attuali».
Ci teniamo a riportare anche le dichiarazioni dell’avvocato Stefano Chiriatti: «I miei assistiti sono, rispettivamente, sorella di Rosaria Lopez e fratello di Donatella Colasanti, e ne sono anche eredi mortis causa. Hanno visionato, unitamente al sottoscritto scrivente, il film La scuola cattolica. Il loro evidente coinvolgimento, personale e affettivo, nella vicenda narrata, per la parte che li riguarda, ha indotto in Letizia e Roberto il risvegliarsi di traumi e dolori profondi, legati a quanto patito nel 1975 e negli anni successivi.
Malgrado l’enorme sacrificio, umano ed emotivo, legato alla rievocazione vivida, visiva e sonora, di quanto accaduto alle rispettive sorelle, hanno, tuttavia, apprezzato la volontà di tramandare, anche in chiave di ammonimento per il futuro, la memoria della loro tragedia, soprattutto alle giovani generazioni. Hanno, pertanto, appreso con grande sorpresa della decisione del Ministero della Cultura di vietare la visione del film ai minori degli anni diciotto».
Nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975 qualcosa si rompe e segna profondamente quei giovani, quella classe sociale, l’istituto che frequentavano e non solo.
I responsabili del delitto del Circeo sono «infatti ex studenti di quella scuola frequentata anche da Edoardo, che prova a raccontare cosa ha scatenato tanta cieca violenza in quelle menti esaltate da idee politiche distorte e un’irrefrenabile smania di supremazia» (dalla nota ufficiale).
Tornando al lungometraggio, la macchina da presa non indugia sulla violenza del massacro, la si vede – è innegabile – ma non così esplicitamente né sempre, si vedono gli effetti, si ascoltano i mugugni, le urla, i silenzi trattenuti ed è questo che fa salire la pelle d’oca.
«La scuola cattolica è veramente un film collettivo, è stato un lavoro molto condiviso e interpretato da tutti, davanti e dietro la macchina da presa, al di là del monitor. Non sarebbe stato possibile realizzarlo senza la collaborazione di un gruppo di giovani attori (Benedetta Porcaroli, Giulio Pranno, Emanuele Maria Di Stefano, Giulio Fochetti, Leonardo Ragazzini, Alessandro Cantalini, Andrea Lintozzi, Guido Quaglione, Federica Torchetti, Luca Vergoni, Francesco Cavallo, Sofia Iacuitto e Angelica Elli) che si sono prestati a un racconto forte, capendo la riflessione sulla violenza che volevamo fare. Essenziale è stato il generoso contributo di attori di esperienza (oltre ai già citati, troviamo Riccardo Scamarcio, Valentina Cervi, Fausto Russo Alesi, Gianluca Guidi, Corrado Invernizzi, Beatrice Spata, Giulio Tropea, Sergio Romano, Elena Arvigo), di cui ho potuto giovare, approfittando della loro amicizia, e che ha dato vita a un confronto tra generazioni che mi ha molto affascinato», ha tenuto a evidenziare il regista de Il testimone invisibile. Questo dovrebbe accadere anche al cinema, magari organizzando proiezioni scolastiche (se possibile con rappresentanti del cast o con il regista o Albinati) e/o con i genitori che dovrebbero avere la possibilità di scelta di portare i propri figli, anche minori di diciotto anni, a vedere il film insieme per poi instaurare un dialogo sulla violenza fisica, psicologica, sul fatto di cronaca che i millennial non conoscono fino a riflettere sulla scena col prof. Golgota, rilanciando la palla agli spettatori.
«E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante
Cancella col coraggio quella supplica dagli occhi
Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante
E quasi sempre dietro la collina è il sole
[…]
E noi ancora, ancor più su
Planando sopra boschi di braccia tese
Un sorriso che non ha
Né più un volto, né più un′età»
Lucio Battisti, “La collina dei ciliegi”
Maria Lucia Tangorra