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La ragazza dei tulipani

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VOTO: 6

Repetita iuvant (ma non troppo)

Raramente, in campo cinematografico, la medesima ricetta può essere applicata due volte con successo a distanza di quasi vent’anni. In primis perché il tempo quasi mai è così gentiluomo da non mutare drasticamente personaggi e situazioni, nella vita reale beninteso; in secondo luogo può anche darsi che siano i gusti del pubblico ad essere inesorabilmente mutati. Preambolo necessario per sottolineare come La ragazza dei tulipani – tratto dal romanzo di successo “Tulip Fever” scritto da Deborah Moggach, che è pure il titolo originale del film – altro non sia che una sorta di remake mascherato di Shakespeare in Love (1998), grande successo culminato, un po’ incredibilmente, con la vittoria come miglior film agli Academy Awards, propiziata dagli allora potentissimi fratelli Weinstein e dalla loro casa di produzione Miramax. Il vento però, a maggior ragione dopo gli scandali sessuali che hanno visto Harvey temutissimo artefice, è cambiato e la ciambella non è riuscita con il classico buco al centro. Anche se il veterano Tom Stoppard – cosceneggiatore comune ai due progetti, nell’occasione in coppia con la stessa autrice del libro – ce l’ha davvero messa tutta nel ricreare lo stesso spirito a cavallo tra commedia e piccoli drammi degli equivoci, pur dovendo spostare l’azione dall’Inghilterra tardo cinquecentesca all’Amsterdam in pieno seicento. E con l’icona divistica di Judi Dench a fare da ulteriore trait d’union del tutto.
La novità di rilievo è che ne La ragazza dei tulipani è il punto di vista femminile ad essere privilegiato in maniera decisamente evidente rispetto a quanto fece, in maniera più sotterranea, il modello ispiratore. A partire dalla conduttrice dei giochi Sophia Sandvoort, interpretata da un’Alicia Vikander talmente levigata nei lineamenti e nel fisico da ricordare in modo sin troppo evidente la Gwyneth Paltrow del lungometraggio datato 1998. In una Amsterdam febbrile e brulicante di vista è proprio lei, orfana e data in sposa ad un ricco mercante più anziano del quale non è innamorata e a cui non riesce a dare il figlio ardentemente voluto, a coltivare l’amore impossibile per un giovane pittore e, di conseguenza, ad escogitare tutta una serie di espedienti per sistemare una situazione ad alto rischio di epiloghi drammatici. Dato il canovaccio narrativo – nonché la bontà indiscussa della scrittura – riesce difficile considerare La ragazza dei tulipani un’opera incapace di essere seguita con un certo piacere. Quel gusto un po’ voyeuristico che la regia di Justin Chadwick asseconda mostrando e non mostrando, grazie a giochi di luce formalmente ineccepibili; il corpo acerbo della Vikander e i sani appetiti erotici di tutti gli altri, giovani, personaggi del film. Inoltre il lussuoso cast (Dane DeHaan, l’ottimo Jack O’Connel e soprattutto il sempre eccellente Christoph Waltz, oltre ai già menzionati) sfodera una piacevole recitazione in souplesse che testimonia ulteriormente le capacità di Chadwick – di cui ricordiamo il più che discreto L’altra donna del re (2008) – di ben orchestrare tutte le varie componenti del film.
Eppure resta in bocca allo spettatore de La ragazza dei tulipani un qualcosa di irrisolto, la sensazione che si sarebbe potuto e forse dovuto osare qualcosa in più rispetto al solito giocattolino a denominazione d’origine controllata atto a titillare le voglie di una platea più o meno complice. La passione carnale rimane ancora una volta sterile pretesto per una confezione attraente ma priva di spessore; mentre, nemmeno troppo paradossalmente, è proprio quella sensazione di déjà vu che emana La ragazza dei tulipani a non far affondare in modo definitivo l’intera operazione. Insomma ci si può, volendo, anche divertire. Tuttavia l’erotismo, inteso come gioiosa pulsione primaria, tanto evocato nel corso dell’opera, resta più un convitato di pietra che una presenza vera e propria. D’altra parte il pubblico continua a venir sempre considerato alla stregua di un bambino mai cresciuto, almeno agli occhi di certo cinema troppo edulcorato per colpire davvero nel segno.

Daniele De Angelis

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