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La notte del giudizio – Election Year

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VOTO: 7

Epurazione continua

In occasione della recensione di Anarchia – La notte del giudizio, secondo capitolo della saga Purge orchestrata da James DeMonaco datato 2014, avemmo l’occasione di concludere l’articolo con questa chiosa: “To be continued. Purtroppo o per fortuna?”
A distanza di due anni, con l’arrivo del terzo episodio (conclusivo? Dalla dinamica narrativa parrebbe di sì…) La notte del giudizio – Election Year, possiamo finalmente concederci il lusso di una risposta al più o meno amletico quesito. E tale responso è, senza soverchi dubbi, positivo. Già, perché DeMonaco, pur rimanendo perfettamente aderente alla cornice di B movie in confezione extra-lusso, esplicita in questo terzo segmento tutti i sottotesti socio-politici che nei primi due film viaggiavano a livello sotterraneo, ottenendo così il risultato decisamente rimarchevole di realizzare un’opera di genere capace di accontentare gusti piuttosto trasversali.
La notte del giudizio – Election Year – e la coincidenza con l’effettivo anno elettorale in chiave presidenziale negli Stati Uniti rappresenta una sorta di preventiva dichiarazione d’intenti – cambia ancora una volta la prospettiva di osservazione dell’ormai classica notte dello Sfogo, quella in cui ogni crimine commesso viene non solo legittimato ma persino incoraggiato, in nome della ricerca di un “equilibrio” sociale che (pre)vede la decimazione, tra loro, delle fasce più svantaggiate. Se il primo film si focalizzava sul versante domestico, con un vero e proprio assedio messo in scena sul modello carpenteriano e la strenua difesa della proprietà privata come ultimo baluardo di resistenza all’anarchia totale, il secondo gettava i suoi protagonisti nel profondo della notte, ad analizzare nel dettaglio le assurdità e gli orrori di un fenomeno che, nemmeno tanto sotto traccia, va a rappresentare l’espressione maggiormente viscerale di una parte neanche troppo insignificante (c’è da temere) della popolazione statunitense. Nel terzo i presupposti sono chiari sin dall’inizio: c’è una candidata alla presidenza U.S.A. – guarda un po’, donna e senatrice…- che si batte per la fasce deboli e mette al primo punto del proprio programma di governo proprio l’abolizione della fatidica “notte del giudizio”. Dall’altro versante i cosiddetti Padri Fondatori le oppongono una specie di cattolico estremista, burattino dell’anima più beceramente destrorsa di una visione del paese distopica ma sino ad un certo punto. Ovviamente le alte sfere decideranno di regolare i conti con la coraggiosa senatrice proprio approfittando della notte in cui tutti i reati – omicidio compreso . sono ammessi, promulgando persino, nell’occasione, una norma ad hoc che abolisce l’intoccabilità della classe dirigente. Meno male che l’integro personaggio interpretato da Frank Grillo torna modificato dal chapter two, stavolta come incaricato della sicurezza della donna.
Tra mille disavventure, La notte del giudizio – Election Year diviene dunque una sorta di road movie da incubo nel ventre oscuro dell’America più profonda, dalla capitale “istituzionale” di Washington ai suoi ghetti più remoti. Un’opera di colto assemblaggio tra passato, presente e futuro in continuo cortocircuito tra cinema e realtà; capace di frullare, attraverso un ritmo da action thriller senza cali di tensione, 1997: fuga da New York (un candidato presidenziale in pericolo dentro un’immensa metropoli senza più regole) e Malcolm X (la figura del leader nero arrabbiato, nella finzione, Dante Bishop non può che rimandare a lui, sin troppo didascalicamente), il cinema di frontiera di Walter Hill con il duello prossimo venturo tra Hillary Clinton e Donald Trump. Aggiungeteci un pizzico del perverso estremismo religioso alla Martyrs (ebbene sì!) coniugato con un attacco persino troppo esplicito e virulento nei confronti del razzismo WASP che alligna nell’animo più profondo dell’America ed ecco che il quadro diventa completo: nonostante la presenza, in veste produttiva, dei famigerati Jason Blum – ma i soldi veri, nella fattispecie, li ha messi una major come Universal – e Michael Bay, La notte del giudizio – Election Year resta un decorosissimo film di genere che, al di là di certe simbolizzazioni sin troppo chiare e intellegibili, non disdegna affatto di seguire una sua indagine di natura quasi antropologica sul percorso intrapreso da una nazione che da tempo è divenuta modello di pensiero – sia esso positivo che negativo – globale. Ed il finale beffardo, sulla falsariga del morettiano Il Caimano, sta lì a dimostrare che l’epurazione di massa non è roba di una notte e via, ma resta un pericolo ben presente, quotidiano e costante. Al pari delle terribili cronache razziali che giungono a noi, periodicamente, da oltreoceano. Ma dalla realtà, stavolta…

Daniele De Angelis

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